Caro direttore,
osservavo le prime pagine del Corriere della sera nei giorni scorsi di long weekend (quanto meno nel rito ambrosiano). Sabato: L’attacco choc di Trump all’Europa, domenica: Alta tensione tra Europa e Usa, lunedì: Asse Putin-Trump sull’Europa, martedì: Trump rilancia l’assalto alla Ue. Mi son detto: questa è a tutti gli effetti una chiamata alle armi, della chiamata alle armi ha soprattutto il crescendo. Parlare di “asse Putin-Trump” in un continente che ha conosciuto ben altre assi nel secolo scorso sarebbe già ottimo e abbondante, ma parlare di rinnovato assalto alla Ue, se le parole hanno un senso comune – ciò di cui è lecito dubitare – può essere solo la premessa di una richiesta, quantomeno, di richiamo del rappresentante diplomatico dal territorio ostile che è ormai diventato la patria di Beniamino Franklin.
Poi ho letto l’editoriale di Ferruccio De Bortoli intitolato “Noi europei educati e deboli” dove si denuncia e lamenta l’incapacità europea di “rispondere per le rime”, e mi è parso di capire che l’ex direttore del Corriere e del Sole 24 Ore aveva deciso di supplire alla afasia dei “leader” al cospetto di “accuse ingiuste e spesso sprezzanti e volgari”, rinunciando per una volta allo stile felpato che è la sua cifra stilistica.
In ogni caso, l’idea che la nostra “buona educazione” sia uno degli handicap che pregiudicano la altrimenti meritata affermazione dell’Europa nell’arena internazionale è uno spunto interessante. Per esempio, induce a chiedersi perché tutti gli esponenti dell’“europeismo” ufficiale e ufficioso seguitino a parlare del nostro continente con intonazione antropomorfica quando l’Ue è e resta un’organizzazione sovranazionale. Capisco il disappunto di Mario Monti, che attribuisce le “varie debolezze europee” soprattutto ai “freni nelle mani degli Stati membri”, ma finché l’Ue sarà un’organizzazione di Stati sovrani questi freni saranno un elemento fondamentale della legittimità del sistema denominato Ue. Peraltro, non risulta che il professor Monti si sia mai esposto con una proposta di modifica della struttura istituzionale della Ue che la trasformi in un soggetto sovrano nell’unica forma ragionevolmente immaginabile, quella della federazione di Stati che hanno devoluto a un governo federale parte della loro sovranità.
Anzi, per dirla tutta, non è mai capitato che nessun esponente dell’europeismo ufficiale o ufficioso si sia mai esposto con iniziative di questo tipo. Un’afasia, questa sì, inquietante, in cui non c’è niente di casuale. E ci sono almeno due buoni motivi perché il tema della trasformazione istituzionale della Ue sia tabù. Il primo ha a che fare con i rischi di un’iniziativa che sarebbe destinata a muovere le acque stagnanti del sistema vigente dove un potente ceto burocratico privo di legittimità politica oggi governato con piglio che non si può non definire autocratico dalla presidente della Commissione, con la tecnica del fatto compiuto e di qualcosa che assomiglia molto alla pork barrell legislation americana degli inizi del secolo scorso, ha espropriato quelli che teoricamente sarebbero i suoi danti causa, gli Stati membri, di grande parte delle loro competenze (adesso si avvia a imporre il divieto di acquisti extra Ue negli appalti pubblici). Il secondo riguarda l’ostacolo che si frapporrebbe a qualsia iniziativa in senso federalista: appunto la burocrazia brussellese che avrebbe tutto da perdere dalla trasformazione federale della Ue e ha il potere di fatto di sabotare ogni iniziativa in quel senso. Insomma, nessuno vuol toccare i fili dell’alta tensione, né i padri nobili come Monti e Prodi, né i giovani entusiasti come Calenda, né i potenti tecnocrati come Draghi e Letta.
Sono consapevole, direttore che queste sono cose assolutamente ovvie, e la buona creanza sconsiglierebbe di parlarne. Questo comporta però che gran parte del discorso pubblico sulla Ue diventi una lacrimevole lamentazione sugli “europei” che non sono abbastanza coesi, dominati da insufficiente “voglia d’Europa”, da paura, sul populismo, il sovranismo e l’estrema destra che costituiscono un rischio esistenziale per l’Europa. Discorso vuoto, stucchevole quanto altri mai, che inonda le pagine dei media mainstream e quasi mainstream. Però tu potresti obiettare: “non è del tutto vero, proprio il Corriere, per la penna di Aldo Cazzullo, domenica ha avuto il coraggio di invocare un presidente eletto dal popolo per gli Stati Uniti d’Europa”.
Vero, ma ci sono alcuni “piccoli dettagli”. Perché questo “presidente eletto dal popolo” dovrebbe essere eletto anche dal Parlamento, oltretutto un Parlamento non eletto da collegi europei? Semmai, come accade negli Stati Uniti, dovrebbe essere eletto anche dagli Stati membri. In ogni caso, eleggere un presidente di una “cosa” che non ha una Costituzione che definisca chiaramente la ripartizione delle competenze tra la “cosa” e gli Stati membri della “cosa” è un non senso. E credo che – anche se sei ancora giovane, beato te – ricorderai quando la Comunità europea varò la “Costituzione per l’Europa” destinata a naufragare dopo pochi mesi. Eppoi nell’articolo di Cazzullo c’è una nota davvero stonata: “Giorgia Meloni e i suoi sodali, da Abascal a Marine Le Pen, da Orbàn a Kaczynski, vogliono davvero un’Europa così?”, finge di chiedersi. E Macron, Merz, Sanchez, i baltici, i polacchi, la Danimarca, la Svezia? No, caro direttore, sul tema dell’Europa non c’è salvezza. E non è per caso che la capitale di questa “cosa” sia collocata in Belgio, capitale europea della nebbia.






