Nel comparto della GDO (e forse non solo) c’è un distacco sempre più profondo tra le aziende e la loro cultura del lavoro e i sindacati di categoria e la cultura che esprimono. Eppure tra chi si pone il problema della gestione e dello sviluppo delle risorse umane e chi si pone il tema delle condizioni di vita e di lavoro, rinnova i contratti nazionali e aziendali, rimettere mano alla materia partendo dalla scadente qualità delle relazioni sarebbe un esercizio salutare. Le aziende, d’altra parte, si sono abituate a farne senza. Hanno costruito percorsi interni solidi e professionalità in grado di gestire la maggioranza delle contraddizioni possibili. Si è creata quindi una distanza, ormai anche di linguaggio, difficile da colmare.
Il CCNL si è trasformato in una sorta di codice della strada. Prevede, sulla carta, ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Poi ci sono i comportamenti agiti, le abitudini, il contesto, la gerarchia che spinge a modalità applicative personalizzate che, se non contestate formalmente, consentono interpretazioni pratiche anche ben lontane dal testo stesso. Ogni azienda si ritaglia un “pacchetto” di norme e lo adatta al proprio modello organizzativo. E così facendo, l’inquadramento, la prestazione, i tempi di lavoro, la concessione o meno di piccoli vantaggi individuali e via discorrendo subiscono una personalizzazione che si trasforma in una sorta di regolamento aziendale che si tramanda nel tempo. È quello che il prof. Zamagni chiama “totalismo aziendale”: l’azienda che basta a sé stessa. Il CCNL è rispettato nei suoi capitoli principali ma i vincoli organizzativi, di inquadramento e procedurali che contiene creati sul modello industriale e sulle grandi superfici nel novecento vengono serenamente bypassati nella gestione quotidiana.
E il sindacato, non avendo più un seguito tale da far cambiare idea ad un’azienda con i suoi strumenti tradizionali, di quell’epoca mantiene il linguaggio un po’ guerresco delle antiche liturgie, proponendo caricature forzate dell’azienda distanti anche dai lavoratori che vorrebbe rappresentare, annuncia adesioni fantasiose alle proprie iniziative, provando così ad attirare l’interesse dei media a cui interessa, più che altro, l’annuncio e una tesi da enfatizzare. Per questo la vicenda Ikea è interessante. Direi un caso di scuola. Lo scontro con il sindacato di categoria è al calor bianco. Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno proclamato per oggi, 5 dicembre, uno sciopero nazionale di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori Ikea, con manifestazione e presidio davanti alla sede di Carugate (Milano). Presidio a parte quanti dei 7500 circa dipendenti saranno veramente coinvolti? Lo dico in anticipo: il 90% secondo i sindacati, dal 15 al 20% secondo l’azienda. Il solito copione.
«Nel corso dell’ultimo incontro, raccontano i sindacati, l’azienda ha respinto ogni proposta delle organizzazioni sindacali, rimandando tutto a un confronto senza contenuti reali. Una chiusura giustificata da presunte difficoltà economiche e dal mancato raggiungimento degli obiettivi di budget, a cui si aggiunge il paradossale considerare il rinnovo del Contratto nazionale della Distribuzione moderna organizzata come un ‘aggravio di costi’. La situazione è stata ulteriormente aggravata dalla comunicazione dei risultati del premio di partecipazione 2025: oltre metà dei punti vendita non riceverà alcun premio e gli altri otterranno importi irrisori, a fronte di spiegazioni aziendali vaghe e contraddittorie. Ikea rifiuta di rivedere il sistema premiante e nega perfino un riconoscimento simbolico ai dipendenti, mentre sembrerebbe destinare bonus alle figure apicali. Di fronte a una chiusura totale e al peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori, le organizzazioni sindacali confermano lo stato di agitazione e chiamano alla mobilitazione nazionale il 5 dicembre, per rivendicare diritti, dignità e una trattativa vera».
Ikea Italia in una nota, replica: In merito allo sciopero indetto dalle sigle sindacali per il prossimo 5 dicembre, l’azienda, pur nel pieno rispetto del diritto di sciopero, desidera fornire alcuni chiarimenti, auspicando una pronta ripresa di un dialogo costruttivo con tutte le parti coinvolte”. Per quanto concerne il premio di partecipazione, spiega il comunicato, “esso costituisce un sistema premiale strettamente correlato al raggiungimento di specifici obiettivi prefissati e condivisi con il sindacato. Purtroppo, il mancato conseguimento di tali obiettivi non consente, per l’anno in corso, di erogare il premio a tutti i co-worker. Rimane il rammarico per non aver raggiunto un accordo per il rinnovo del contratto integrativo che avrebbe consentito a tutti i co-worker di fruire un premio di gran lunga migliorativo rispetto all’attuale sistema premiante. Relativamente al Contratto Integrativo Aziendale, negli ultimi tre anni l’impegno dell’Azienda è stato volto a migliorare ulteriormente le condizioni economiche gia’ riconosciute a tutti i co-worker dall’attuale Contratto Integrativo con interventi sia sul versante del welfare che delle maggiorazioni, in Ikea già ampiamente migliorative rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale. Si ritiene che la sottoscrizione di tale accordo per tempo avrebbe consentito a tutti i co-worker di raggiungere benefici economici importanti. Ikea ha costantemente ricercato un confronto con le sigle sindacali e conferma la propria disponibilità a sottoscrivere il Contratto in qualsiasi momento – anche con una durata ridotta rispetto alla normale vigenza – sulla base della proposta aziendale, evidentemente migliorativa. Ikea Italia intende inoltre ribadire che la propria strategia di business rimane saldamente allineata all’obiettivo di rendere il brand accessibile alla maggioranza delle persone, anche in un contesto storico in cui tutti i consumi sono significativamente influenzati da molti fattori”.
Un dialogo tra sordi, quindi. In realtà in questi sei anni (aggiungerei da molto prima) l’azienda è cambiata in profondità sia a livello internazionale sia a livello Italia. Attenzione ai costi, modifiche dei formati, tipologia e numero dei clienti e modificazioni delle loro abitudini, fatturati e margini. Ne ho parlato ad agosto in occasione del cambio di CEO a livello Gruppo (leggi qui). Per il sindacato sembra che tutto questo non sia rilevante. In queste condizioni è difficile trovare un terreno di confronto costruttivo…






