L’iper attivismo della Procura milanese nei riguardi del settore della moda, colonna portante per l’economia meneghina, sembra aver scoperchiato un vaso che continua a riservare sorprese negative confermando come, almeno secondo le tesi degli inquirenti, il caporalato sia un male estremamente diffuso.
La tesi accusatoria però non parte direttamente (a parte il caso Tod’s che sta avendo sviluppi inediti dal momento che la Procura ha iscritto nel registro degli indagati tre manager e la stessa società sulla base della legge 231 con l’accusa di un presunto caporalato) dal reato di caporalato in sé e per sé considerato quanto dall’ipotesi che non siano stati effettuati sufficienti ed efficaci controlli lungo la catena dei fornitori e dei subfornitori, permettendo così che fossero posti in essere gravi illegalità ignorate a livello apicale se non addirittura tollerate.
L’intento dunque è quello di portare i Gruppi a organizzare meglio la propria filiera, smantellando al contempo appalti e subappalti convenienti per le griffe in quanto costruiti su episodi continui di grave sfruttamento di manodopera spesso extracomunitaria.
TREDICI AZIENDE DELLA MODA SOTTO INDAGINE PER CAPORALATO
Secondo quanto battuto dalle agenzie nelle ultime ore, altri 13 grossi gruppi sarebbero da tempo finiti nel radar degli inquirenti impegnati nelle indagini in opifici per lo più cinesi in cui parrebbero essere state riscontrate violazioni di leggi di varia natura. Nella tarda serata di ieri i carabinieri del nucleo per la Tutela del lavoro, su mandato del procuratore Paolo Storari, hanno fatto irruzione in diverse sedi aziendali chiedendo la documentazione che attesti l’effettuazione di controlli su sicurezza e legalità lungo la filiera.
Tra queste riporta LaPresse, Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating. Sono questi i marchi conosciuti in tutto il mondo che compaiono nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini come committenti che affidano la produzione ad appaltatori e subappaltatori che operano violando le leggi sul lavoro e sulla sicurezza.
Ai grandi brand viene chiesto di consegnare visure camerali, contratti, organigrammi, descrizioni delle funzioni aziendali, verbali dei cda da gennaio 2023 ad oggi, verbali dei collegi sindacali da gennaio 2023 ad oggi. A questo si aggiungono i documenti su sistemi di controllo interni, con l’indicazione di procedure di accreditamento e selezione di fornitori di materie prime, beni e servizi e il piano di attività di Internal Audit e i relativi risultati, i piani di monitoraggio e tracciabilità, l’elenco dei fornitori e i bilanci 2023-2024.
PER I PM “UTILIZZO DI MANOPERA CINESE IN CONDIZIONI DI PESANTE SFRUTTAMENTO”
La Procura avrebbe fatto emergere l’esistenza delle indagini con l’attività ispettiva di ieri sera solo dopo aver rilevato numerosi episodi di “utilizzo di manodopera di etnica cinese in condizioni di pesante sfruttamento”, che hanno “prestato la propria attività” a favore delle società elencate. Insomma gli inquirenti si sarebbero mossi a colpo sicuro anche se naturalmente tutto ciò dovrà ottenere riscontro in un’aula di tribunale.
UN MODUS OPERANDI DIFFUSO?
Che il male del caporalato fosse particolarmente diffuso da essere quasi trasversale nel settore della moda gli inquirenti lo avevano capito da tempo e avevano avuto ulteriori conferme, si legge quest’oggi sul quotidiano di Confindustria, quando nelle ultime ispezioni condotte a novembre 2025 dai carabinieri in tre opifici toscani al servizio della produzione anche di Tod’s, dove sono stati rinvenuti fino a sette livelli di sub-appalto, “sono state sequestrate borse dei marchi Madbag, Zegna, Saint Laurent, Cuoieria Fiorentina e Prada”.
AL CENTRO ANCORA UNA VOLTA GLI OPIFICI CINESI
Al centro di tutto, infatti, ancora una volta, opifici localizzati prevalentemente tra Lombardia, Toscana e Marche. Lì si sono concentrate le indagini degli inquirenti e sono state raccolte testimonianze su orari di lavoro, condizioni, paghe, assenza di contratti e versamento di contributi, rilevando al contempo situazioni di illegalità e rischiosità diffusa date soprattutto dalle precarie situazioni igieniche e dalla mancanza di protezioni nonostante la permanenza dei lavoratori a stretto contatto con materiali altamente infiammabili.
COME TUTTO HA AVUTO INIZIO
Come si scriveva poc’anzi si tratta di un filone emerso dal marzo 2024 (indagine partita da un fornitore cinese di Trezzano sul Naviglio, Milano, dove un ventiseienne del Bangladesh è morto nel suo primo presunto giorno di lavoro proprio mentre i datori cercavano di regolarizzarlo all’Inps dopo l’incidente letale) e che è spesso sfociato in richieste di amministrazione giudiziaria per, ricorda Repubblica, Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufacture Dior, Valentino Bags Lab, Loro Piana di Louis Vuitton, non indagate ma con l’ipotesi di aver agevolato colposamente e inconsapevolmente lo sfruttamento.
COSA EMERGE SUL CASO TOD’S
Sempre oggi in un articolo del Sole24Ore viene riportato che, in merito alle investigazioni sul gruppo Tod’s sia emerso che in un opificio gestito da cinesi sarebbero stati sfruttati anche lavoratori pakistani: lavoro per 12 ore al giorno, sabato incluso, per 1.300 euro al mese, in nero. Gli straordinari non vengono pagati. La pausa pranzo dura tra i 10 ei 20 minuti.
Da parte sua Tod’s fa sapere di avere “preso atto di quanto emerge dalle verifiche effettuate dalla Procura di Milano e ha espresso la ferma intenzione di fare tutto quanto in proprio potere per garantire la sicurezza e dignità del lavoro, valori” che la società di calzature “ritiene da sempre parte del proprio Dna” hanno scritto i legali del Gruppo nell’istanza con la quale nella giornata di ieri hanno chiesto al Giudice per le indagini preliminari di rinviare l’udienza sulla richiesta del pm di interdittiva (ovvero il divieto per Tod’s di pubblicizzare le proprie attività per sei mesi). Rinvio accolto dal magistrato: la nuova udienza avrà luogo il prossimo 23 febbraio.





