Quale sarà il futuro delle aziende legate allo sviluppo dell’IA? Siamo effettivamente in presenza di una bolla speculativa? Alla luce degli argomenti che si sono passati in rassegna, la nostra prospettiva sulla questione può essere riassunta in quattro punti fondamentali.
1- Le attuali quotazioni di borsa delle big tech Usa non sono del tutto giustificate dai fondamentali economici
Nonostante la forte crescita degli utili, riteniamo che gli attuali prezzi di borsa delle big tech statunitensi non siano sorretti da prospettive di crescita realistiche per queste imprese. I multipli attuali, in effetti, scontano utili in crescita a ritmi del 20-25% annuo per i prossimi 10 anni – uno scenario possibile solo a una duplice condizione: da un lato, che l’IA si riveli effettivamente una rivoluzione tecnologica epocale e, dall’altro, che a trarre profitto da questa rivoluzione siano precisamente le Mag-7. Nessuna delle due condizioni, però, può dirsi oggi avvalorata al di là di ogni ragionevole dubbio: in altri termini, oggi l’investimento su questi titoli presuppone una duplice scommessa.
2 – Un ridimensionamento delle quotazioni è lo scenario più probabile
Se un ridimensionamento delle quotazioni appare verosimile, non è però scontato che tale processo assuma la forma di un crollo generalizzato del mercato. Piuttosto, il ridimensionamento potrebbe avere un impatto asimmetrico sui vari titoli coinvolti nell’ecosistema IA. Già da tempo in effetti le quotazioni dei titoli delle Mag-7 hanno iniziato a divergere tra loro, e diverse aziende coinvolte nella corsa all’IA hanno già sperimentato gli effetti di dubbi crescenti da parte degli investitori: nell’ultimo mese Palantir ha perso oltre il 10% del proprio valore, Oracle più del 25%, mentre altri titoli, come per esempio Google, hanno saputo conservare un’elevata fiducia da parte degli investitori.
Un primo scenario possibile, dunque, vede un ridimensionamento parziale delle quotazioni, con alcuni titoli pesantemente colpiti e altri toccati solo marginalmente, senza alcun downturn generalizzato. Non va però esclusa la possibilità di un secondo scenario, che vede i mercati reagire violentemente a notizie particolarmente negative da parte dei big del settore – dando inizio a un sell-off generalizzato.
A costituire un innesco potrebbe essere in particolare Open AI, l’azienda di Sam Altman che, a fine 2022, ha dato avvio al rally di borsa attorno all’IA. Secondo diverse stime, OpenAI rimarrà in perdita per tutti i prossimi 5 anni, con il primo bilancio in attivo previsto per oltre il 2030. A ciò vanno aggiunti i crescenti dubbi da parte di diversi esperti del settore sulle reali possibilità di sviluppo nel breve-medio termine di un primo modello di AGI (Artificial General Intelligence), obiettivo principe degli hyperscaler. Ad oggi Open AI non è quotata in borsa – l’IPO è prevista nel 2026 – ma se gli investitori dovessero convincersi ad abbandonare il progetto alla base dell’impresa, allora è senz’altro possibile che le quotazioni dei titoli dell’ecosistema IA Usa si troverebbero a dover affrontare forti turbolenze.
3 – Anche le imprese driver del cambiamento tecnologico sono a rischio
In uno scenario ribassista, è lecito considerare complessivamente al riparo dalle turbolenze titoli come Nvidia, che hanno cavalcato il rally di mercato in virtù della propria posizione dominante su segmenti nodali della catena produttiva dell’IA?
Il caso dell’azienda di Santa Clara – la cui crescita in borsa da novembre 2022 è stata di circa il 945% – si presta in effetti ad almeno due rilevanti paragoni storici. Il primo riguarda la bolla delle ferrovie negli Usa di fine Ottocento: la costruzione dell’infrastruttura ferroviaria rispondeva senz’altro a reali esigenze di sviluppo per l’economia del Paese, e diede in effetti un forte impulso alla crescita. Nondimeno, questo non fu sufficiente ad evitare lo scoppio della bolla, nel 1873.
Un secondo caso al quale si può fare riferimento – molto più prossimo a noi – è quello di Cisco System, tra le società a più alta capitalizzazione dell’S&P500 degli anni ’90 e al centro della bolla Dot-com del 2000. Cisco si occupava della realizzazione dei cavi per la trasmissione dei segnali del nascente Internet, e appariva così come la società che, con i propri prodotti, avrebbe permesso il pieno dispiegarsi della rivoluzione di Internet. Sono premesse, come ha recentemente sottolineato Michael Burry, che accomunano il caso Cisco a quello di un’azienda come Nvidia, anch’essa generalmente vista come depositaria della tecnologia “abilitante” – le GPU – dell’attuale (prevista) rivoluzione tecnologica dell’IA. Cisco, nondimeno, fu tra le più illustri vittime dello scoppio della bolla delle Dot-com. È significativo, peraltro, che la società non sia mai fallita, né abbia mai dovuto optare per il proprio delisting; al contrario, specie a partire dal secondo decennio del 2000, Cisco è tornata a crescere in borsa, senza però mai raggiungere nuovamente i picchi di valutazione toccati nel periodo della bolla Dot-com. È uno scenario che non si fa fatica a immaginare anche per il futuro di alcuni titoli centrali nell’ecosistema IA statunitense: un ridimensionamento delle valutazioni di borsa, senza però che le società siano costrette a uscire dal mercato.
4 – La rendita da monopolio tecnologico è minacciata dalla concorrenza globale
Quando una grande innovazione tecnologica fa la propria comparsa sul mercato, il primo produttore ha modo di godere per un certo tempo di una rendita da monopolio, la quale permette all’azienda di crescere anche in misura molto significativa. Tale situazione non dura però solitamente a lungo: con il tempo gli investimenti compiuti nel settore portano al calo dei margini sui singoli prodotti venduti; così, paradossalmente, il momento di maggiore diffusione di una nuova tecnologia – e dunque il momento di maggiore impatto sulla crescita della produttività – viene a coincidere con una fase negativa per l’azienda che per prima l’ha sviluppata. È il normale funzionamento della concorrenza di mercato, che inesorabilmente finisce per erodere la rendita da monopolio del first mover: come ricordava Joseph Schumpeter, “una posizione monopolistica non è […] un guanciale su cui dormire sonni tranquilli”.
Ad oggi diverse tra le big tech statunitensi impegnate nella corsa all’IA ricoprono posizioni dominanti entro i propri segmenti di business – il che contribuisce a spiegare gli elevatissimi livelli di capitalizzazione raggiunti. Tuttavia, è improbabile che tale posizione di vantaggio possa essere conservata indefinitamente, soprattutto in una realtà altamente globalizzata come quella attuale, che vede la concorrenza di diversi produttori e sistemi produttivi.
In questo contesto, un’attenzione particolare merita la Cina, che può vantare un proprio ecosistema autonomo di aziende big tech e che ha superato gli stessi Usa su diversi indicatori chiave di innovazione tecnologica. Tra questi, anche il numero di brevetti IA, superiore a quello degli Usa dal 2017. In effetti, le imprese cinesi, a fronte di livelli di capitalizzazione molto inferiori a quelli statunitensi, godono già oggi di un ottimo posizionamento nella corsa internazionale per lo sviluppo dell’IA, e hanno buone chance di porre in questione il monopolio tecnologico delle big tech Usa.
L’innovazione delle aziende tech cinesi nell’ambito IA è peraltro spesso differente da quello delle loro controparti statunitensi. Per quanto il progetto di un primo modello di AGI non sia certo assente dagli obiettivi degli sviluppatori cinesi, maggiore attenzione viene rivolta ai modelli di IA ristretta (NAI, Narrow Artificial Intelligence), progettati per la realizzazione di compiti specifici – spesso peraltro legati, nel caso cinese, all’attività manifatturiera. Proprio tale scelta potrebbe rivelarsi strategicamente vincente, consentendo alle imprese cinesi di ottenere un rilevante vantaggio comparato rispetto alle grandi aziende tecnologiche statunitensi.






