Anche Hp sembra posizionarsi di diritto tra le grandi aziende tecnologiche americane in procinto di inaugurare una lunga stagione di tagli a dispetto di bilanci positivi.
PRIME SFORBICIATE A INIZIO 2025
Per la verità Hewlett-Packard aveva iniziato a tagliare da qualche tempo: già a febbraio 2025 la Big Tech di Paolo Alto aveva messo alla porta tra i mille e i duemila dipendenti. Ora però il produttore di computer e stampanti ha annunciato un ampio piano di ristrutturazione che prevede il taglio di circa il 10 per cento della forza lavoro a livello globale.
CONTI IN ORDINE EPPURE SI TAGLIA
Più nel dettaglio Hp prevede di tagliare fino a 6.000 posti di lavoro nei prossimi tre anni che saranno suppliti, lascia intendere un comunicato della medesima azienda, attraverso un maggiore utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma non è il solo elemento a sorprendere.
Nell’ultimo trimestre, infatti, l’azienda statunitense ha confermato il proprio buon andamento registrando ricavi in aumento del 4,2 percento a 14,64 miliardi di dollari, superando le stime degli analisti, con le vendite di Pc che hanno compensato il calo delle stampanti. In diminuzione invece il profitto fermo a 795 milioni di dollari contro i 906 milioni dell’anno precedente. Il produttore di Pc e stampanti prevede un utile per azione (non conforme ai principi contabili generalmente accettati) per l’anno fiscale 2026 di 2,90-3,20 dollari, ben al di sotto della stima degli analisti di 3,32 dollari.
STESSA STRATEGIA DI ALTRE BIG TECH USA
Hp non è la prima grande azienda americana a licenziare nonostante i conti in ordine, modus già visto in Cina lo scorso anno dove da subito è stato chiaro che, senza tutele ad hoc predisposte dal legislatore, l’Intelligenza artificiale avrebbe operato una concorrenza sleale al lavoratore umano.
Anche un altro colosso tecnologico statunitense, Ibm, ha confermato le voci di corridoio sui tagli all’organico: “Nel quarto trimestre stiamo attuando un’azione che avrà un impatto su una percentuale a una sola cifra della nostra forza lavoro globale”, ha dichiarato un portavoce dell’azienda alla CNBC. “Sebbene ciò possa avere ripercussioni su alcuni ruoli negli Stati Uniti, prevediamo che la nostra occupazione negli Usa rimarrà invariata rispetto all’anno precedente”, si affretta a precisare il colosso che probabilmente teme di indispettire Donald Trump.
L’amministratore delegato Arvind Krishna aveva già ammesso al Wall Street Journal lo scorso maggio che l’uso in azienda degli agenti di intelligenza artificiale aveva portato a sostituire circa 200 persone nelle risorse umane, salvo poi correggere il tiro ricordando che parallelamente Ibm avesse assunto più venditori e sviluppatori di software.
Finora sono stati persi oltre 22.000 posti di lavoro, con un picco di 16.084 licenziamenti solo a febbraio, mentre lo scorso anno i tagli hanno superato i 150.000 in 549 aziende. Tra le grandi aziende coinvolte, Amazon – il secondo datore di lavoro privato più grande degli Stati Uniti – solo qualche giorno fa ha rifilato un pacco non voluto a circa 14.000 dipendenti, il più grande “arrivederci e grazie” nella sua storia.
Lo stesso Andy Jassy, Ceo di Amazon, ha dichiarato a giugno che nei prossimi anni la forza lavoro diminuirà ulteriormente a causa all’adozione dell’intelligenza artificiale generativa e che quindi “serviranno meno persone per alcuni dei lavori che vengono svolti oggi e più persone per altri tipi di lavori”.
LE DIETE DI META E GOOGLE
Nel 2025 Meta ha avviato una serie di licenziamenti in diverse fasi dell’anno, interessando migliaia di dipendenti. A gennaio ha tagliato il 5% del personale, ad aprile oltre 100 posti nella divisione Reality Labs dedicata alla realtà virtuale e a luglio Scale AI, acquisita recentemente da Meta, ha licenziato circa 200 dipendenti – circa il 14% della forza lavoro – e interrotto i rapporti con 500 collaboratori globali, poche settimane dopo l’operazione da 14,3 miliardi di dollari.
A ottobre ha poi annunciato altri 600 licenziamenti nelle unità di infrastruttura per l’intelligenza artificiale, incluso il team FAIR, mantenendo però invariati i ruoli di alto livello in TBD Labs.
Quest’anno anche Google ha attuato vari licenziamenti legati alla riorganizzazione interna e al maggiore focus sull’IA. A febbraio ha avviato una riorganizzazione tagliando personale nei team di People Operations e cloud, offrendo uscite volontarie ai dipendenti statunitensi. Ad aprile ha eliminato centinaia di posti nella divisione piattaforme e dispositivi (Android, Pixel, Chrome).
A giugno ha ridotto del 25% il team smart TV di 300 membri, tagliando i fondi del 10% e riallocando risorse verso l’intelligenza artificiale. Infine, a ottobre ha licenziato oltre 100 designer nella divisione cloud, colpendo soprattutto i team con sede negli Usa.
In Oracle che solo a settembre festeggiava un balzo del 36% in Borsa, il miglior risultato dal 1992, portando la capitalizzazione a 922 miliardi di dollari e catapultando temporaneamente il Ceo Larry Ellison al vertice della classifica dei più ricchi al mondo, secondo le previsioni di Forrester entro la fine di dicembre potrebbero essere lasciati a casa circa 10.000 dipendenti su una forza lavoro globale di 160.000 persone.
“SERVONO MENO TESTE”
In Microsoft Satya Nadella potrà vantare di essere il Ceo che ha portato la software house fondata da Bill Gates a superare i 4.000 miliardi di dollari di capitalizzazione. Mentre gira il mondo invitando governi e aziende a investire in soluzioni IA, Microsoft continua a licenziare a tutto spiano; proprio come Salesforce il cui Ceo Marc Benioff durante un’intervista al podcast The Logan Bartlett Show registrata subito dopo aver accompagnato alla porta 4mila dipendenti ha ammesso: “Abbiamo bisogno di meno teste”.
Nel maggio dello scorso anno intervenendo in remoto al VivaTech 2024 di Parigi Elon Musk, uno degli imprenditori più visionari e per questo più seguiti del panorama hi-tech, aveva scosso la sala preconizzando che tra robot e Ai (le sue aziende ovviamente producono entrambi) “l’uomo non avrebbe più lavorato”. Resta da capire se intendesse che siamo all’alba di un periodo del bengodi nel quale non servirà più lavorare oppure se dovremo subire la concorrenza diretta delle tecnologie di frontiera: un mercato del lavoro invaso da automi e algoritmi infaticabili pronti a fare il nostro lavoro per più ore senza reclamare né stipendi né diritti.




