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Cervelli fritti dal brain rot causato dai video di TikTok

Dire che scrollare per ore fa rincitrullire non è più solo una supposizione. Un nuovo studio dell’American Psychological Association afferma infatti che il doomscrolling su TikTok può provocare il cosiddetto “brain rot” che, letteralmente, sta per “marciume cerebrale” causato dal consumo eccessivo di contenuti banali o poco impegnativi sui social. Tutti i dettagli

 

Il deterioramento cognitivo da social si può misurare, eccome. Diversi studi scientifici pubblicati negli ultimi anni hanno analizzato gli effetti dell’esposizione prolungata a contenuti digitali di bassa qualità, evidenziando correlazioni tra l’uso intenso dei social media, il consumo di video in formato breve e alterazioni misurabili delle funzioni cognitive. Alcune ricerche mostrano come tali dinamiche coinvolgano sia gli utenti sia, in modo diverso, i modelli di intelligenza artificiale.

ALLE ORIGINI DEL “BRAIN ROT”

Il termine “brain rot”, o “marciume cerebrale”, descrive la sensazione di annebbiamento mentale collegata allo scrolling prolungato sui social. L’Oxford Dictionary lo ha proclamato Parola dell’Anno 2024, definendolo come “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, soprattutto come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale (in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo”.

L’uso della locuzione, aumentato del 230% nel 2024, ha radici storiche più antiche. Venne infatti impiegata da Henry David Thoreau nel suo libro Walden, dove l’autore si domandava: “Mentre l’Inghilterra si sforza di curare il marciume delle patate, nessuno si sforzerà di curare il marciume del cervello, che prevale in modo molto più diffuso e fatale?”.

Secondo Oxford Languages, la popolarità attuale del termine è legata alla diffusione su TikTok e tra le generazioni più giovani. Come osserva il suo presidente Casper Grathwohl: “Queste comunità hanno amplificato l’espressione attraverso i canali dei social media, lo stesso posto considerato la causa del brain rot”.

VIDEO BREVI E FUNZIONI COGNITIVE

Ora l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato una meta-analisi intitolata “Feeds, Feelings, and Focus: A Systematic Review and Meta-Analysis Examining the Cognitive and Mental Health Correlates of Short-Form Video Use”, in cui i video brevi delle piattaforme algoritmiche vengono associati a un deterioramento misurabile delle prestazioni cognitive.

L’analisi ha coinvolto 98.299 partecipanti provenienti da 71 studi e ha rilevato che un maggiore consumo di video brevi corrisponde a performance peggiori in termini di attenzione e controllo inibitorio. Lo studio osserva che l’esposizione ripetuta a contenuti “altamente stimolanti e dal ritmo rapido può contribuire all’assuefazione”, causando desensibilizzazione verso attività cognitive più lente come “la lettura, la risoluzione di problemi o l’apprendimento profondo”.

L’assuefazione attiva il sistema di ricompensa, con possibili effetti su “isolamento sociale, minore soddisfazione di vita e persino autostima e immagine corporea peggiori”. Gli autori sottolineano l’importanza di comprendere le implicazioni di salute legate ai video brevi, affermando che “questi risultati evidenziano l’importanza di comprenderne le più ampie implicazioni sulla salute”.

L’IMPATTO SU ATTENZIONE E MEMORIA

Un altro studio, pubblicato su National Library of Medicine, ha documentato alterazioni acute e permanenti nelle aree del cervello associate all’attenzione e alla memoria. Viene evidenziato che lo scrolling ripetuto interferisce con la capacità del cervello di codificare e conservare le informazioni, mentre la sovrastimolazione continua può ridurre la soglia attentiva.

Queste evidenze si inseriscono in un contesto di crescente preoccupazione per l’evoluzione della vita virtuale, come indicato anche da Oxford Languages, secondo cui si nota “la crescente preoccupazione della società per come sta evolvendo la nostra vita virtuale”.

DIMENSIONE SOCIALE E SVILUPPO INFANTILE

La professoressa Vanna Iori, docente all’Università Cattolica di Milano presso la Facoltà di Scienze della Formazione, mette in relazione il concetto di “brain rot” con le condizioni di vulnerabilità infantile, descrivendo come esperienze di trascuratezza o stress precoce possano influenzare lo sviluppo di aree cerebrali responsabili della memoria, dell’apprendimento e della regolazione emotiva. Sebbene il termine venga impiegato in ambiti diversi, Iori sottolinea che “lo stress precoce altera la biologia del cervello” e che tali alterazioni possono tradursi in difficoltà di concentrazione, ritardi cognitivi e problemi di socializzazione.

LA BASSA QUALITÀ INFICIA ANCHE L’IA

E secondo una ricerca pubblicata su arXiv da un team dell’Università del Texas ad Austin e della Purdue University, nemmeno l’intelligenza artificiale è riuscita a sfuggire al brain rot. “Ci siamo chiesti cosa succede quando le IA vengono addestrate su contenuti spazzatura”, ha spiegato il ricercatore Junyuan Hong.

Lo studio afferma che questa esposizione porta a un declino delle capacità di ragionamento e memoria, oltre alla comparsa di “tratti oscuri”, con riduzione dell’etica e atteggiamenti narcisistici. Hong rileva che “l’allenamento delle IA su contenuti virali o che attirano l’attenzione può sembrare un’operazione di ampliamento dei dati. Ma può corrodere il ragionamento, l’etica e l’attenzione”. Lo studio mostra inoltre che le tecniche di mitigazione non riescono a invertire completamente gli effetti dei contenuti iniziali, mettendo in guardia dalle procedure di raccolta massiva dei dati.

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