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Cosa c’è nel nuovo decreto per l’ex Ilva

Il governo ha approvato un decreto-legge per garantire la produzione dell'ex-Ilva fino a febbraio 2026, quando dovrebbe (tra molti dubbi) concludersi la gara per la vendita della società. Il ministro Urso ha convocato una riunione con i sindacati tra una settimana. Intanto, l'intera siderurgia europea è in difficoltà.

Giovedì 20 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge contenente “misure urgenti per assicurare la continuità operativa degli stabilimenti” di Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce gli impianti dell’ex-Ilva, incluso quello di Taranto.

COSA CONTIENE IL DECRETO PER L’EX-ILVA

Tramite il decreto, il Consiglio dei ministri ha autorizzato Acciaierie d’Italia a utilizzare i soldi rimanenti del prestito ponte – ovvero 108 milioni di euro su 200 – per garantire la continuità della produzione di acciaio fino a febbraio 2026, quando dovrebbe concludersi la gara per la vendita della società. La gara precedente, nonostante la vittoria dell’azienda azera Baku Steel, era poi fallita, e anche sul buon esito della procedura attuale ci sono dei dubbi.

I restanti 92 milioni di euro del finanziamento ponte sono già stati destinati alla manutenzione degli altoforni di Taranto – su cinque, l’unico attualmente in funzione è il quarto, indicato con la sigla Afo4 – e agli investimenti legati alla nuova Autorizzazione integrata ambientale, o Aia.

20 MILIONI PER LA CASSA INTEGRAZIONE

Il decreto, inoltre, stanzia altri 20 milioni di euro per il periodo 2025-2026, che verranno utilizzati dallo stato per integrare fino al 75 per cento il trattamento della cassa integrazione giornaliera. Ad oggi, era Acciaierie d’Italia a sostenere direttamente questa integrazione.

– Leggi anche: L’ex Ilva è sul baratro ma si lancia nell’idrogeno

LE PROTESTE DEI SINDACATI E LA RIUNIONE DI URSO

L’approvazione del decreto sull’ex Ilva è arrivato dopo due giorni di proteste dei lavoratori degli stabilimenti di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che sta gestendo il dossier, ha convocato per il 28 novembre un incontro con i sindacati, i quali però – ha scritto il Corriere della Sera – vorrebbero piuttosto confrontarsi con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

LA SITUAZIONE DELL’ACCIAIO IN EUROPA

Citando i dati di Boston Consulting Group, la Repubblica ha scritto che oggi nell’Unione europea ci sono venticinque stabilimenti siderurgici a ciclo integrale, cioè che producono acciaio dal minerale ferroso utilizzando un altoforno alimentato a carbone coke. “Solo dieci anni fa erano circa il doppio e, nello stesso periodo, la percentuale della produzione europea sull’acciaio mondiale è passata dal 10 al 7%”, aggiunge il quotidiano.

Nei giorni scorsi il governo Meloni ha presentato un piano per l’ex Ilva che prevede proprio il passaggio dal ciclo integrale al ciclo corto, ovvero un modello basato sui forni elettrici – meno emissivi – e su una produzione di acciaio da rottami: si parla, in gergo, di acciaio “secondario”. La rimodulazione delle attività data dalla transizione al ciclo corto causerebbe però un aumento del numero degli addetti in cassa integrazione: i forni elettrici, infatti, non richiedono gli stessi volumi di manodopera degli altiforni.

Non solo in Italia, ma in tutta Europa l’industria siderurgica sta vivendo un momento difficile dato dalla combinazione di più fattori: costi di decarbonizzazione, prezzi alti dell’energia, fiacchezza della domanda interna e sovraccapacità produttiva sui mercati (c’entra soprattutto la Cina) che deprime i prezzi di vendita.

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