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Perché il caso Garofani deve preoccupare anche Schlein

Reazioni e commenti sul caso Garofani che deve destare preoccupazioni anche nella segreteria del Pd. La nota di Sacchi.

“Il caso è chiuso”, scrivono a sera in una nota congiunta i capigruppo di FdI alla Camera, Galeazzo Bignami, e al Senato, Lucio Malan. Ma il “caso”, anche dopo l’incontro tra il premier Giorgia Meloni e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lascia scorie sul terreno.

La cosa più chiara, come dato politico di fatto che emerge dal “caso” tra Palazzo Chigi e Quirinale, è l’innegabile stato di crisi delle opposizioni. I riflettori di questa vicenda istituzionale allargano impietosamente le luci sulla disperata ricerca della sinistra, dei Cinque Stelle e dei piccoli centri alleati di tentare di impedire un’altra vittoria del centrodestra nel 2027 e soprattutto di non consentire che sia per la prima volta una maggioranza di centrodestra a eleggere il Capo dello Stato nel 2029.

Al di là dello scoop di Belpietro, che ha fatto esplodere “il caso”, quello della crisi del campo largo, peraltro con leader in lotta tra loro per la candidatura alla premiership, un cartello di opposizioni privo di una credibile proposta alternativa al governo Meloni, è un dato politico di fatto, difficilmente smentibile, ammesso dagli stessi leader del centrosinistra di ieri e di oggi, a cominciare dalle dure critiche di Romano Prodi rivolte soprattutto a Elly Schlein. La determinazione della segretaria del partito principale, il Pd, per la candidatura alla premiership contrapposta a Meloni è parsa recentemente essere frenata anche da parte dello stesso Massimo D’Alema. Da uomo che si dice fuori dalla politica e solo “fornitore di idee”, D’Alema una settimana fa, nel suo ritorno alla Camera dopo 12 anni come presidente della Fondazione Italianieuropei, per presentare nella Sala Berlinguer del gruppo Pd il nuovo numero della omonima rivista dedicato al lavoro, ha invitato tutte le leadership del campo largo ad abbandonare le volontà “di egemonie” da parte dei partiti dell’alleanza. E ha criticato coloro che “senza più incarichi” pretenderebbero di dare la linea.

Era lo stesso Prodi, per le sue “picconate”, il destinatario del messaggio? Chissà. Ma l’area del Pd rimasta più vicina all’ex premier, l’unico ex comunista ad essere andato alla plancia di comando di Palazzo Chigi, sembra non essere con Prodi ma neppure molto sicura di riuscire ad avere Schlein premier. Perché, anche per questa area come per Prodi, troppo schiacciata sulla linea massimalista del segretario della Cgil, Maurizio Landini, che di fatto anche lui appare come un soggetto politico del campo che ormai sembra troppo largo ma privo di un baricentro.

È in questo contesto di grande difficoltà delle opposizioni che irrompono le confessioni, in un pubblico locale romano, del consigliere alla Difesa sul Colle, Francesco Saverio Garofani, rivelate da La Verità di Maurizio Belpietro, oggetto di una richiesta di smentita da parte di Bignami all’alto consigliere, ex parlamentare Pd per tre legislature, che però di fatto non le smentisce, definendole con il Corriere della sera “chiacchiere in libertà, tra amici”. Dicendo anche in un modo un po’ irrituale che il presidente Mattarella gli ha rinnovato “la sua fiducia”.

Ma quelle dichiarazioni, che invocano “addirittura la provvidenza”, come sottolinea Belpietro, per fermare il governo Meloni e comunque per non avere lo stesso anche nel 2027, e la giustificazione che i cosiddetti “giornaloni” ne hanno dato, definendo lo scoop di Belpietro (professionista documentato e con autorevoli fonti, come lui ribadisce e come sa chi ha collaborato con lui) e la successiva richiesta di smentita di Bignami allo stesso Garofani come un “attacco al Colle”, invece che difendere in modo incisivo Mattarella, oggettivamente rischiano di trascinare il Quirinale su un terreno non appropriato. Sembrano tirare al solito per la giacca il presidente, non difendendone di fatto il ruolo di equilibrio che Mattarella ha sempre svolto. Non a caso Meloni chiede il chiarimento anche “a tutela del Quirinale”.

Garofani nelle “chiacchiere in libertà” fa emergere tutta la sua ostilità al governo di centrodestra, invoca “un provvidenziale scossone” per mettere fine all’esecutivo, che nasce dal voto alle Politiche del 2022, e propone come ultima soluzione “una grande lista nazionale di civici”, evidentemente volta a spaccare il centrodestra, “un nuovo Ulivo”. Ma ,come fa notare il quotidiano Il Dubbio oggi, sarebbe realizzabile però dopo aver impedito una nuova legge elettorale volta a rendere più proporzionale, con indicazione da parte degli schieramenti del premier, l’attuale sistema. Riforma attribuita alla volontà della stessa premier Meloni e del suo partito FdI.

Insomma, Garofani non smentisce quelle che più che “chiacchiere in libertà” sembrano vere e proprie proposte concrete. Il fatto che sia stata Meloni a chiedere il colloquio a Mattarella è stato interpretato dalle opposizioni e dal mainstream mediatico vicino alla sinistra come una sorta di andata a Canossa, chissà cosa avrebbero detto se fosse stato, invece, il presidente stesso a convocarla. Cosa che sarebbe suonata come una richiesta di chiarimento da parte dell’inquilino del Colle e pratica irrituale nello stile quirinalizio, almeno di quello interpretato dal presidente Mattarella.

Resta il fatto che la premier, pur usando parole di diplomazia, pur ribadendo “la sintonia con il Quirinale per il bene della Nazione”, non arretra ed è la sua di fatto la richiesta di chiarimento per l’irrituale uscita di Garofani in un pubblico luogo di ritrovo. Fonti di Palazzo Chigi lo definiscono “un colloquio per un ‘chiarimento'”. Battono le agenzie di stampa: Meloni è stata al Quirinale per un confronto con Mattarella. Con il quale la premier ha definito le affermazioni di Garofani “istituzionalmente e politicamente inopportune”, tra l’altro, ha sottolineato “pronunciate in un contesto pubblico”. La premessa di Meloni è che “la sintonia istituzionale” che esiste tra Palazzo Chigi e il Quirinale “non è mai venuta meno fin dall’insediamento di questo governo” e “della quale nessuno ha mai dubitato”.

La premier sottolinea – riporta l’Agi – anche che la richiesta di smentita formulata da Bignami “non era un attacco al Quirinale”, “ma al contrario un modo per circoscrivere al suo ambito reale la vicenda, anche a tutela del Quirinale”. “Era intenzione – riferiscono fonti di governo – da parte del partito di maggioranza relativa intervenire per fugare ogni ipotesi di scontro tra due istituzioni che invece collaborano insieme per il bene della Nazione”. Insomma, doveva essere “il diretto interessato, ovvero il consigliere Garofani, a chiarire, per chiudere immediatamente la questione”.

Nei venti minuti di colloquio al Colle, Meloni sottolinea il “rammarico” per le dichiarazioni di Garofani, e allo stesso tempo garantisce che non c’è alcuna volontà di uno strappo. “Fratelli d’Italia ritiene la questione chiusa e non reputa di aggiungere altro. Rinnoviamo la stima nel presidente Mattarella e l’apprezzamento per la sintonia istituzionale tra il Quirinale e Palazzo Chigi”, affermano i capigruppo Bignami e Malan.

Così si conclude la seconda giornata del caso “Garofani rosso”.
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