Skip to content

openai

Come e perché la Germania le suona a OpenAi su ChatGpt per la musica

I giudici bavaresi hanno dato ragione a Gema (la Siae tedesca) contro OpenAI: usare testi di canzoni protette per addestrare ChatGpt senza licenza è violazione del copyright.

Martedì 11 novembre potrebbe essere una data destinata a fare storia nel panorama europeo dell’intelligenza artificiale, grazie a un verdetto pronunciato dal tribunale regionale di Monaco di Baviera sfavorevole a OpenAI.

La controversia ha visto contrapporsi Gema, l’ente tedesco per la tutela dei diritti musicali simile all’italiana Siae, e OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato il celebre chatbot ChatGPT. Al centro della disputa, l’utilizzazione non autorizzata di componimenti lirici protetti dal diritto d’autore per alimentare gli algoritmi del sistema intelligente. La magistratura bavarese ha riconosciuto la fondatezza delle rivendicazioni di Gema, stabilendo che l’impiego di materiale protetto senza le necessarie autorizzazioni costituisce una palese infrazione delle normative sul copyright.

Il procedimento giudiziario ha esaminato specificamente nove composizioni musicali di notevole popolarità nel contesto germanico. Tra queste figuravano brani iconici come “Männer” del popolare cantautore Herbert Grönemeyer, e un componimento natalizio. Secondo quanto documentato dall’ente di tutela, questi materiali erano stati incorporati nelle procedure di apprendimento automatico del sistema conversazionale e successivamente riprodotti, in forma sostanzialmente fedele o comunque riconoscibile, quando gli utenti formulavano richieste specifiche all’applicazione.

MEMORIZZAZIONE E RIPRODUZIONE

Un elemento cruciale dell’iter processuale ha riguardato la natura tecnica del trattamento dei contenuti protetti. La difesa della società californiana aveva sostenuto che il meccanismo di addestramento consentisse al sistema di rigenerare i componimenti lirici senza averli effettivamente archiviati nei propri database. Tuttavia, il collegio giudicante ha interpretato la capacità del programma di restituire i testi come dimostrazione inequivocabile che questi dovessero essere stati precedentemente immagazzinati. L’ipotesi di una produzione casuale è stata categoricamente esclusa dai magistrati.

Come riportato dal Tagesschau di Ard, la presidente Elke Schwager ha riassunto la decisione del tribunale alla fine della motivazione della sentenza con un’efficace metafora: quando si intende realizzare qualcosa e sono necessari determinati elementi costitutivi, questi vanno acquisiti legittimamente e non ci si può semplicemente appropriare di risorse altrui.

LE ARGOMENTAZIONI RESPINTE

Nel corso delle udienze, i rappresentanti legali di OpenAI avevano tentato di invocare diverse eccezioni previste dalla normativa sul copyright, in particolare quelle relative all’estrazione e all’analisi di dati testuali. Inoltre, era stato sostenuto che la responsabilità per i contenuti generati ricadesse esclusivamente sugli utilizzatori finali del servizio, piuttosto che sull’azienda sviluppatrice. Entrambe queste linee difensive sono state respinte dal tribunale bavarese. Gema, dal canto suo, aveva chiarito di non opporsi all’utilizzazione in sé dei materiali protetti, ma di esigere il riconoscimento economico attraverso il versamento di compensi per licenza a beneficio degli autori originali.

La pronuncia giudiziaria difficilmente rappresenterà l’epilogo definitivo della controversia, considerata l’alta probabilità di ulteriori impugnazioni.

IMPLICAZIONI PER L’INDUSTRIA CREATIVA

Secondo molti commentatori, la sentenza assume una valenza che trascende ampiamente il singolo caso giudiziario. Per Silke von Lewinski, esperta del Max Planck Institute for Innovation and Competition, la questione riveste importanza fondamentale per tutte le categorie di opere intellettuali: letteratura, giornalismo, musica, arti visive, fotografia e qualsiasi altra creazione impiegata per addestrare sistemi di intelligenza artificiale generativa. A suo avviso, un eventuale consolidamento di questa giurisprudenza modificherebbe sostanzialmente gli equilibri tra l’industria creativa e le corporazioni tecnologiche, conferendo maggiore potere contrattuale agli autori e ai detentori dei diritti. Questi ultimi acquisirebbero la prerogativa di autorizzare preventivamente l’utilizzo delle loro opere e di ottenere un’adeguata remunerazione.

LA PAROLA FINALE SPETTERÀ ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA?

Christopher Götz, professionista legale presso lo studio Simmons & Simmons, ha evidenziato in un’intervista al quotidiano Handelsblatt come la sentenza sollevi interrogativi essenziali concernenti la “qualificazione giuridica dei modelli linguistici di grandi dimensioni”: in particolare, “se questi sistemi procedano effettivamente all’archiviazione delle informazioni e chi debba rispondere della conformità alle normative sulla protezione dei dati quando vengono impiegati modelli già addestrati da soggetti terzi”.

“Queste questioni rivestono un’importanza fondamentale anche per altri settori della conformità, in particolare il diritto alla protezione dei dati”, ha aggiunto l’esperto. Considerata la rilevanza straordinaria di tali tematiche, anche a suo avviso è improbabile che il dibattito giuridico possa considerarsi concluso: “Probabilmente sarà la Corte di giustizia europea a dover chiarire come valutare giuridicamente il trattamento dei dati da parte dei sistemi di IA”, ha concluso Götz.

Torna su