La casa editrice Liberilibri ci fa dono di una raccolta di sei saggi curati da Luca Bellardini che – a distanza di cento anni dalla nascita di Margaret Thatcher e a dodici dalla sua scomparsa – ne rievocano la figura di donna e di statista, considerando gli aspetti caratteriologici della persona e la sua visione olistica che somma politica, economica, etica, concezione antropologica e welfare ridefinendo per l’epoca – e rendendoli ancora attuali – i concetti di conservatorismo e liberismo che una frettolosa agiografia ha consegnato ai posteri in modo certamente caratterizzante ma in taluni casi forzato e semplificativo. Si tratta di un’eredità complessa di cui vengono colte le sfaccettature più denotative che si ricompongono in un quadro d’insieme che potremmo definire interessante storicamente e quanto mai attuale in un contesto in cui l’essere “conservatore”, in un mondo che cambia troppo rapidamente e in modo convulso, ci restituisce i valori della tradizione e delle radici culturali di appartenenza, derive utili a fronte di un processo di globalizzazione e omologazione troppo spesso caratterizzato da confusioni semantiche e riduttive, prive di ideali e di riferimenti alti e dirimenti. Il volume a lei dedicato si compone di contributi e riflessioni di alto livello e profonda conoscenza del personaggio e del suo stile di governo. Si tratta di un tema che investe la politica laddove è necessario rivisitare alcune differenze che vengono inscritte nel concetto di ‘destra politica’, dove serve distinguere tra populismi emergenti, nazionalismi che si spingono verso regimi autarchici, ibridi insostenibili tra orfani dell’Occidente declinante e improbabili alleanze ad ispirazione filoputiniana da un lato e liberismo economico, spirito imprenditoriale, tutela dei valori culturali caratterizzanti l’identità nazionale dall’altro.
Negli undici anni e mezzo di governo del Regno Unito – dal 4 maggio 1979 al 28 novembre 1990 – l’avvocatessa e laureata in chimica, figlia di un droghiere ed emersa alla guida dei Tories esprimendo un forte carattere unito a doti e talento personali non ha messo in discussione la vocazione occidentale del Paese, non avendo mai adombrato l’ipotesi della Brexit nonostante un certo euroscetticismo. Peraltro il thatcherismo è stato descritto da Nigel Lawson, Cancelliere dello Scacchiere della Thatcher dal 1983 al 1989, come una piattaforma politica che enfatizza i mercati liberi con spese governative limitate e tagli fiscali, insieme al nazionalismo britannico sia in patria che all’estero.
Nulla a che fare con l’emergente Farage ma storicamente continuista rispetto all’originario conservatorismo di Winston Churchill. Recentissima la rivisitazione della vita politica della Lady di ferro, ripresa e pubblicata dal magazine “Formiche” è quella di John O’Sullivan, presidente di Danube institute e speechwriter della prima donna a Downing Street mettendone in luce le virtù vigorose e decise nella vita politica nazionale.
L’attualità del thatcherismo consiste nella sintesi tra liberalismo e conservatorismo, e ciò che può esserne declinato non riguarda il Regno Unito anche nell’era della Brexit ma una Weltanschauung, una visione del mondo. La sua dottrina economica contempera un welfare sostenibile – tale da non compromettere gli interessi generali in un contesto dove aiutare e sostenere non significa dilapidare le finanze pubbliche – e la tutela e il rispetto delle libertà individuali, favorendo lo spirito di iniziativa e la consapevolezza che, nel perseguire il bene comune, soggetto e società condividono una convergenza di interessi. Si può persino affermare che lo stesso laburista Tony Blair non fu esente da ispirazioni e scelte della Thatcher e non corresse mai l’idea di uno Stato improntato ad efficienza e tagli agli sprechi. Accusata di eccessivo rigorismo seppe affrontare la vicenda delle Isola Falkland e lo sciopero dei minatori nel 1984/85: la sua intransigenza non ebbe a nuocere al Paese.
Mi ricorda Rudi Bogni – un illustre italiano che vive da anni nella City, con una straordinaria carriera bancaria a livello mondiale – alcuni aneddoti sulla Lady di ferro, avendola conosciuta personalmente insieme al di lei marito Sir Denis. “Ho conosciuto bene molti suoi Ministri: Howe, Lawson, Brittan, Howell, Lamont: la rispettavano e la temevano anche se pochi l’amavano veramente per il suo fare imperioso, ad eccezione di Lord Tim Bell – suo fedelissimo ed affezionato collaboratore che l’aveva persino consigliata a migliorare la sua immagine, da come parlare e a come vestirsi”…“Notevole influenza esercitarono su di lei nelle scelte economiche Keith Joseph, Alan Walters e Sir Douglas Hague”. Interessante poi il riferimento alla politica della “casa sociale per tutti”, che consisteva nella vendita agli inquilini delle loro abitazioni in affitto, così come la scelta delle privatizzazioni tutte con esito positivo eccetto quella dell’acqua.
Mi sia consentita – concludendo questo breve excursus che rimanda senza indugio alla lettura del libro – un’ultima citazione decisamente autorevole, che conferma la descrizione di un personaggio forte e poco incline al compromesso o assoggettata ad un pensiero debole e incerto. Mi riferisco a ciò che mi disse della Signora Thatcher un profondo conoscitore della politica internazionale come Giulio Andreotti, nel corso di una lunga intervista che raccolsi nel suo studio di Palazzo Giustiniani, con aneddoti e ricordi personali di molte personalità, da De Gasperi a Papa Pacelli, da Gromyko ad Obama, a Gorbaciov, “visti da vicino”.
“La Signora Thatcher è una donna molto ferma, non esprime quella che uno pensa sia la dote femminile per eccellenza, la gentilezza. Non che sia scortese, tutt’altro, solo che usa più i sostantivi che gli aggettivi nel dialogo, è molto precisa, ecco. Bisogna essere attenti a come ci si esprime parlando con lei, altrettanto precisi”.
Credo si tratti di un giudizio lusinghiero che mette in risalto le qualità della Lady di ferro, piuttosto che i suoi difetti e che la rende anche sotto questo profilo interessante ed attuale.






