Quest’articolo sarà un atto d’amore pieno di cinismo. Già parte con una premessa spregiudicata: la dolorosa scelta di Jannik Sinner di non partecipare alla Coppa Davis, che è la sola competizione a squadra, cioè rappresentando l’Italia, non è né giusta né sbagliata. È insindacabile.
La decisione presa dal più grande tennista al mondo – vedrete che presto tornerà nell’unico posto in classifica in cui merita di stare: il primo -, non compete a noi, suoi tifosi accaniti, ma non accecati.
Jannik può fare quello che vuole. In barba al club del rancore che sulla stampa gli rimprovera la legittima residenza a Montecarlo. Alla faccia del circolo della malafede che gli rinfaccia un inesistito dopaggio. A dispetto del cerchio intellettuale dell’invidia per quei 6 milioni di euro testé guadagnati al torneo dei ricconi in Arabia Saudita. A prescindere dai salotti che non si capacitano su come un intero e grande Paese come il nostro possa aver perso la testa, ma non il telecomando per seguire ovunque un cartone animato che prende a dritti e manrovesci tutti i suoi avversari. Pure Carlitos Alcaraz, il suo eguale ma opposto spagnolo.
L’amarezza e il dispiacere per il no di Sinner alla Davis siamo in molti a provarli. Vorremmo vedere Jannik sul campo ogni giorno, mica solo a Bologna per la Davis, prossimamente. Ma non giudichiamo l’ingiudicabile. Lo rispettiamo in silenzio: libera scelta in libero Stato.
Che peccato, caro Cartone Animato. Magari ripensaci, se capissi che la tua presenza a sorpresa sarebbe, come lo sarebbe, decisiva.
Siccome, però, il nostro amore per l’Italia non vacilla neanche nel momento della delusione sportiva, ci siamo posti e consolati con la più cinica delle domande: ma a noi innamorati d’Italia, che cosa conviene, in fondo? Conviene che Jannik indossi per la terza volta l’Azzurro per poi forse arrivare incolore e sgonfio all’Australian Open e altrove?
Oppure che stavolta il Cartone Animato “venuto quasi dalla fine del mondo”, da Sesto, salti il turno – un turno a cui per due volte di fila non rinunciò, facendoci vincere la Davis -, e poi s’esprima forte e chiaro per tutto il resto della lunga stagione? Quale opzione è nell’interesse non di Sinner l’insindacabile, ma dell’Italia in cui con orgoglio lui e noi ci riconosciamo?
La risposta c’è. Anche chi non segue il tennis, sa che Nole Djokovic è serbo, che Roger Federer è svizzero e che Rafa Nadal è spagnolo.
Si parla delle tre leggende che hanno preceduto il tempo, attuale, del mito dai capelli color carota che ha fatto diventare Sesto capoluogo dell’Alto Adige e mèta di pellegrinaggio nazionale.
Ma se Nole sta alla Serbia quanto Roger alla Svizzera e Rafa alla Spagna, non è certo per il numero di coppe Davis che essi hanno contribuito a conquistare. E di cui pochi saprebbero indicare il quanto e il quando.
È invece la loro storia personale da campioni di Slam in Slam più tutto il notevole resto oltre ogni rete ad aver plasmato le loro identità nazionali.
Siccome ognuno dei magnifici tre ha vinto tutto quel che si poteva vincere, e ogni torneo ha sempre ben specificato a beneficio del mondo da dove provenisse il fuoriclasse, l’equivalenza “Djokovic è uguale a Serbia” scattava in automatico molto più delle sue partecipazioni alla Davis. E lui alla fine ne ha vinto solo una. Ciononostante, resta il più vincente tennista, chissà, d’ogni epoca. Tennista serbo per la Storia, per la sua gente, per sempre. Con una sola Davis, ripetiamolo: la metà delle due già ottenute dal Sinner determinante, che ha tutta la vita sportiva davanti a sé. Non, come Nole, un grande avvenire dietro le spalle.
E come non ricordare che Federer – Federer, ragazzi! – la Davis l’ha più saltata che non frequentata? Tuttavia, la Svizzera non piange né rimpiange l’ex grande assente, perché il Federer senza passione-Davis “rappresenta” comunque e sempre la Svizzera meglio del celebre cucù dei suoi orologi.
C’è molta più Italia nello Jannik sdraiato e sorridente sul glorioso prato di Wimbledon col trofeo più prestigioso del mondo in mano e lo striscione tricolore con la scritta “Forza Italia” accanto, che non in tutte le Davis già vinte o vincibili. C’è molta più Italia nei comportamenti, nelle parole, nella simpatia e nell’esempio che Jannik trasmette ovunque che non nella settimana di Davis a novembre. Perché una settimana, che a noi comuni mortali sembra un attimo fuggente, conta invece tanto – ha spiegato lui, dispiaciuto – per allenarsi, riposarsi, controllarsi in vista dei grandi impegni.
Signore e signori, Jannik non “rappresenta” l’Italia. È molto di più. Jannik costituisce un pezzo del mosaico più bello del mondo, che si chiama Italia.
Ovunque vada, lì ci sarà l’Azzurro. Ovunque non vada, noi rispetteremo la scelta del campione. Se poi ci ripensa…
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)
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