Skip to content

lavoratori

Vi spiego i veri fini degli scioperi targati Cgil

Nelle manifestazioni e negli scioperi della Cgil e dei sindacati di base non c'è alcuna nuova dimensione umanitaria. Il commento di Cazzola

Francesco Seghezzi è un giovane intellettuale stimato che occupa un posto importante nel dibattito sul lavoro con una competenza che gli è da tutti riconosciuta. Per di più svolge un ruolo importante in Adapt, la scuola fondata da Marco Biagi e implementata, dopo la sua uccisione, da Michele Tiraboschi. Seghezzi su X ha compiuto una riflessione interessante sulle mobilitazioni che hanno accompagnato il viaggio della Flotilla alla volta di Gaza, alle cui vicende sono stati dedicati – da parte di differenti soggetti sindacali e movimenti – ben tre scioperi generali in una settimana accompagnati da imponenti manifestazioni, con episodi di brutali ed ingiustificate violenze e danneggiamenti di strutture di interesse pubblico e delle reti di trasporto allo scopo dichiarato di “bloccare tutto”. Nelle sue considerazioni Seghezzi si chiede come mai su tematiche più “prossime” come i salari, lo sfruttamento dei tirocini, la discontinuità lavorativa, il sotto finanziamento di tanti servizi (educazione, sanità, ecc.) si muovano in pochi, pur riguardando la cosa molti, soprattutto nel loro quotidiano e le persone che incontrano per strada tutti i giorni. Invece, la dimensione umanitaria e politica muove molto di più di quella economico-sociale. E’ quindi necessario comprendere le cause, perché sono l’espressione di una trasformazione più vasta.

Quella di Seghezzi è una riflessione stimolante, che si muove nell’ambito di considerazioni che si pongono i medesimi interrogativi da parte di un importante dirigente sindacale del sindacato dei trasporti della Cgil, Stefano Malorgio, in una intervista a Il Diario del Lavoro, dove con molta onestà intellettuale ha spiegato che cosa è avvenuto nelle recenti azioni di lotta per Gaza: “Attenzione però. I dati di adesione agli scioperi del 19 e del 22 rimangono molto differenti da luogo a luogo (nei porti, il 19 era molto alta) e comunque mediamente bassi, e questo ci dice un’altra cosa: che esiste una forbice tra la reazione della società civile e quella del mondo del lavoro’’.

Non sappiamo (e non lo sapremo mai con certezza) se questa discrepanza è stata ridotta o colmata in occasione dello sciopero generale del 3 ottobre, promosso da una ‘’strana alleanza’’ tra la Cgil e i sindacati di base. Ormai il successo delle lotte sindacali non si misura più con le adesioni agli scioperi, ma per il clamore e l’ampiezza delle manifestazioni a cui partecipano, specie se ne è protagonista la Cgil, altre organizzazioni e movimenti vari (i famosi ‘’cento fiori’’ della rivolta sociale di Landini). Del resto, sullo sfondo c’è un altro elemento di una scomoda novità che si preferisce non approfondire: in gran parte, sono lavoratori, anzi operai, gli elettori dei partiti di destra e il tentativo della sinistra di recuperare queste adesioni venute meno rincorrendole a sinistra si sta rivelando un clamoroso insuccesso, nel senso che alla fine della rincorsa non si ritrovano le mitiche tute blu, ma gli scappati da casa dei centri sociali.

E’ un riflesso pavloviano da cui non riesce ad affrancarsi la sinistra quello di riconoscere la spessore di una rivoluzione sovvertitrice a delle piccole rivolte. Dopo il Covid, quando al venire meno del blocco dei licenziamenti, non ci fa il bagno di sangue atteso, ma fioccarono le dimissioni volontarie alla ricerca di migliori opportunità, la retorica ufficiale volle far risalire questi processi, banalmente riferibili alla legge della domanda e dell’offerta, alla rinascita di una generazione dei figli dei fiori (mettete dei fiori nei vostri cannoni), senza mai accettare e farsi carico della crisi del mismacth.

Tutto ciò premesso, io contesto che vi sia una nuova e più intensa dimensione umanitaria. Se la società (in)civile si adira nell’assistere al dramma delle popolazioni civili massacrate dalla guerra, mi si dovrebbe spiegare perché questi sentimenti sono esplosi soltanto per l’ennesimo conflitto israelo-palestinese, mentre per l’Ucraina non si svolto un minuto di sciopero e la presenza alle manifestazioni poche manifestazioni di solidarietà è stata garantita dalle cartoline/precetto.

Mentre gli oratori dal palco chiedevano la fine della assistenza militare. Eppure la condizione della popolazione civile di quel Paese non è diversa da quella dei gazawi, anzi ai russi che si scatenano contro obiettivi civili non gliene può fregar di meno di ordinare gli sgomberi prima di scatenare una tempesta di droni. Ci sono almeno 700mila ucraini che si sono rifugiati nei paesi confinanti o in altre parti del Paese (anche se nessuna è al sicuro). Non si sa nulla dei 20mila bambini rapiti. Quanto all’integrità territoriale di quel Paese è opinione diffusa che dovrebbero lasciare ai russi il Donbassanche se quell’esercito non è ancora riuscito a vincere sul terreno. Si ha comprensione per la Russia che non si sente sicura dall’essere circondata da Paesi Nato, mentre si vorrebbe imporre adIsraele di convivere con uno Stato che gli è mortale nemico e che porterebbe il regime iraniano sulle rive del Mediterraneo. No. Non esiste una pietas a senso unico. La vera differenza non la fanno gli aggrediti ma gli aggressori. La sbornia umanitaria per la Palestina è l’altra faccia della medaglia dell’odio per gli ebrei. L’IDF non ha perso sul campo, ma è stato sconfitto in diretta tv, da una campagna faziosa, unilaterale, disonesta e propagandistica, alimentata dalle veline di Hamas.

Prendiamo il caso di Francesca Albanese. E’ così evidente il suo odio per Israele che la induce persino a giustificare il pogrom del 7 ottobre; ma negli ambienti della sinistra – e non solo di quella radicale – se ne va in giro come un Madonna pellegrina a raccattare premi e riconoscimenti. Vi sono donne, sia giornaliste che attiviste, che negano gli stupri del 7 ottobre e si spingono pure a dichiarare che le israeliane non violentate erano deluse perché pensavano di non piacere ai maschi palestinesi. Abbiamo a che fare non con una società civile, ma con una opinione pubblica subornata e rabbiosa che costituisce un segnale inquietante per chiunque tenta di cavalcare per scopi elettorali i demoni di questa sbandata di massa. E che finirà – lo vedremo oggi in piazza a Roma quando gli esponenti del Pd saranno spernacchiati perché non sono completamente sdraiati con i terroristi di Hamas – per rivolgersi anche contro gli apprendisti stregoni che hanno tollerato l’attuale deriva. Devo a Seghezzi un’ultima risposta. Se è vero che per tematiche più “prossime” come i salari, lo sfruttamento dei tirocini, la discontinuità lavorativa, il sotto finanziamento di tanti servizi (educazione, sanità, ecc.) si muovano in pochi”, non sarà perché la società della narrazione dei catastrofisti non esiste? E che la realtà dell’Italia è quella di una “società signorile di massa”.

Torna su