Una volta tanto che il nostro Paese non solo è stato puntuale, ma addirittura in anticipo rispetto al resto dell’Europa su di un tema che riguarda la digitalizzazione dell’intelaiatura dello Stato, a Bruxelles non va bene. E in effetti, data la situazione che si sta andando a creare in tema di identità digitale, i boiardi comunitari potrebbero non avere tutti i torti a non capire perché in Italia coesistano Spid e Cie.
SPID CONTRO CIE, L’UNICUM ITALIANO
La peculiare situazione italiana è nota: da un lato abbiamo lo Spid, il sistema introdotto per primo e che – bisogna riconoscerglielo – ha permesso al Paese di continuare a funzionare durante il lockdown. Sul fronte opposto c’è invece la Carta d’identità elettronica, la Cie, che sarebbe il solo strumento che l’Europa, ma anche il governo, vorrebbero mantenere in vita. Anche perché la gestione dello Spid sta creando non pochi grattacapi al nostro esecutivo: affidata ai privati, era stato promesso loro che avrebbero preso parte a un servizio remunerativo per ciò che concerne l’utilizzo di tale strumento da privato a privato, ma dato che Spid si usa solitamente con la Pubblica amministrazione, l’affare non si è rivelato conveniente. Quindi ora battono cassa davanti al portone di Chigi.
NUOVO INCONTRO SUL FUTURO DELLO SPID (MA IL GOVERNO PENSA ALLA CIE)
Il prossimo 9 ottobre l’esecutivo incontrerà nuovamente i gestori cui è stato affidato il mantenimento dello Spid per discutere il rinnovo delle convenzioni che legano gli identity provider allo Stato. Il governo Meloni non ha troppa voglia di metterci altri soldi pubblici, sia perché come si anticipava ormai esiste la Cie che ha i medesimi obiettivi e le stesse funzioni con in più l’imprimatur della Zecca e della Ue che le permette di essere emessa direttamente dall’Interno senza l’intermediazione di soggetti privati accreditati presso l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), sia perché proprio di recente sono emerse alcune magagne legate allo Spid che ne minano l’infallibilità. Per questo, nei fatti, dal 2022 a oggi ogni volta che i gestori di identità digitali hanno bussato alle porte di Palazzo Chigi chiedendo i soldi promessi l’esecutivo ha puntualmente calciato la palla lontano. L’ultima volta il pallone è finito nella casellina del calendario del 9 ottobre, appunto.
SPID DI POSTE A PAGAMENTO?
Il malumore tra i gestori dello Spid è tanto e tale che persino Poste Italiane, controllata dal dicastero dell’Economia, ha ventilato (parrebbe infatti strano se l’indiscrezione fosse totalmente campata in aria) che starebbe considerando l’idea di introdurre un canone annuale di circa 5 euro per il servizio. Attualmente sono 28 milioni gli italiani che utilizzano Spid attraverso Poste (il 70 per cento del totale): costringerli a pagare un abbonamento permetterebbe al Gruppo di incamerare ben oltre 140 milioni di euro l’anno per coprirne i costi di gestione.
CHI FA PAGARE LO SPID E CHI NO?
Nel frattempo diversi tra i privati che si erano accreditati presso l’AgID per fornire il servizio di Identità digitale – Aruba, InfoCert e Register – hanno già iniziato a far pagare una sottoscrizione alla propria utenza. I provider Sielte, Lepida e Namirial continuano invece, a determinate condizioni, a offrire lo Spid gratuitamente.
IL CODACONS SULLE BARRICATE
Lecito domandarsi se uno strumento essenziale come lo Spid, pensato non solo per gli affari tra privati ma anche e soprattutto per dialogare con la Pa, possa prevedere simili balzelli. “La situazione che si sta delineando appare gravemente lesiva dei diritti dei consumatori – ha infatti attaccato il Codacons – che negli ultimi anni sono stati incentivati a creare una identità digitale per accedere ad una moltitudine di servizi offerti dalla pubblica amministrazione e ora, per usufruire di questi stessi servizi, rischiano di ritrovarsi a pagare nuovi costi non preventivati”.
L’associazione da tempo si dice “pronta ad avviare una valanga di cause risarcitorie contro lo Stato e Agid da parte degli utenti interessati, finalizzate al riconoscimento del rimborso delle spese sostenute a causa dei ritardi della Pa”. Però è pur vero che l’alternativa “gratuita” (si paga solo l’importo previsto per il rinnovo del documento d’identità) c’è ed è la Cie. Dunque Spid non agisce da monopolista, per così dire. Non la pensano così diversi giuristi che parlano di violazione del principio di universalità dell’identità digitale. La confusione in merito insomma è davvero tanta, trasversale e a ogni piano della vicenda.
TUTTI SCONTENTI, CIE E SPID NEL PANTANO
La sensazione è che nessuna delle parti sia soddisfatta di Spid: i gestori privati la intendono solo come un costo, mentre l’esecutivo vorrebbe puntare tutto su Cie per lasciarla al proprio destino. Roma, però, sa benissimo che non può nemmeno ribaltare il tavolo cancellando Spid e ordinando ai cittadini di correre ad abilitare le propaggini virtuali del documento d’identità: il Sistema Pubblico di Identità Digitale, infatti, ha ormai oltre 40 milioni di account, fioriti per di più in pandemia quando era impossibile recarsi fisicamente agli sportelli, mentre i travagli tecnici della Cie (che per l’autenticazione inizialmente chiedeva di dotarsi di un lettore di tessere nfc) ne hanno frenato la diffusione, ferma a poco più di 7 milioni di utenti.
TANTE DOMANDE SUL CURIOSO FUNZIONAMENTO DI CIE
Esiste un software da scaricare su smartphone per non doversi più munire di un dispositivo che legga la carta d’identità (quel passaggio hardware però il modo di accesso più sicuro), tale App CieID, così da renderla pratica tanto quanto lo Spid o quasi, ma l’esecutivo per qualche strana ragione non lo sta affatto pubblicizzando. Ci si chiede poi perché non sia una funzione integrata alla ben più diffusa e famosa AppIo che dovrebbe essere già installata su almeno 40 milioni di device.
La strategia dell’esecutivo, almeno su carta, è di spingere in modo che Cie e It-Wallet finiscano negli smartphone di oltre il 70% degli italiani, così da gestire il dialogo con la Pubblica amministrazione attraverso questi strumenti. Ma per ora si è visto ben poco. Quindi i più continuano a usare Spid, gli altri passano a Cie solo al momento del rinnovo del vecchio documento cartaceo, salvo poi dimenticarsi la tessera nel proprio portafogli.
E così, come fanno notare da una testata non certo lontana dall’esecutivo, Il Giornale, Cie “sebbene sia in mano al 72% dei cittadini, solo il 13% la sfrutta per i servizi digitali: gli accessi sono venti volte inferiori a quelli con Spid”.
LE RICHIESTE DELLA UE
E poi ci sono le pressioni di Bruxelles. La Ue chiede di evitare pasticci (e la Spid come si è già ricordato ha una vulnerabilità che permette di aprire Identità digitali per conto di ignari cittadini, visto che è possibile abilitarne più di una a persona) e, contemporaneamente, ha fissato molto in alto l’asticella della digitalizzazione della Pubblica amministrazione per ottenere in cambio i fondi del Pnrr.
TUTTO RIMANDATO DOPO L’ULTIMA RATA DEL NEXTGENERATION EU?
Non sarebbe insomma così strano se l’immobilismo di Palazzo Chigi sulla questione fosse legato alla necessità di attendere che Bruxelles stacchi l’ultimo assegno del piano post pandemico per poi avere le mani sufficientemente libere da porre in essere mosse che potrebbero temporaneamente ridurre il numero dei cittadini con una Identità digitale. Siamo ormai al 72 per cento delle risorse e Roma ha appena presentato la richiesta di liquidazione dell’ottava rata del Pnrr che dovrebbe essere saldata entro novembre. C’è poi da considerare un altro scaglione a livello europeo: il regolamento eIDAS 2.0 che impone a tutti gli Stati membri di fornire ai cittadini un’identità digitale entro il 2026.
Disfare quanto fatto finora sparando sul sistema che permette al nostro Paese di arrivare a quella data una volta tanto non solo in regola ma persino tra i primi della classe sarebbe quantomeno masochistico. Quel che è certo è che, come fanno notare dal Giornale a chi ha il dossier Spid / Cie sulla scrivania (ovvero al FdI Alessio Butti, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione), data la diffusione della Spid e la sua semplicità d’uso “Privarsene da un giorno all’altro è un argomento che merita un surplus di riflessione.” Ma l’esecutivo finora non ha certo avuto fretta.