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La politica italiana tra spiragli di dialogo e campagna elettorale permanente

I leader volano assieme, premier e sorella lanciano l’appello alle opposizioni. Appelli per la pace di Tajani e del Papa. Ma poi si torna al comizio e alla guerriglia urbana. Il corsivo di Battista Falconi.

Ieri giornata all’insegna del dialogo, del colloquio. Non istituzionale e ufficiale ma informale, fatto di coincidenze, di incontri casuali tra leader di maggioranza e opposizione. Meloni, Schlein, Tajani, Fratoianni e Bonelli hanno preso lo stesso volo per recarsi in Calabria dove si chiudevano le campagne elettorali.

Un appuntamento a Palazzo Chigi, in Parlamento o al Quirinale sarebbe stato troppo impegnativo, figuriamoci poi in mezzo a due impegni elettorali in Marche e Calabria: avrebbe ammosciato i rispettivi elettorati. Meglio così. Meloni e Schlein non hanno avuto colloqui in salette separate, si sono limitate a scherzare sulle regionali, vedi la foto mentre ridono assieme allo scalo di Lamezia, e ad accennare a Flotilla. I dietrologi però maligneranno che il volo in comune sia stato un’abile mossa delle segreterie e che le due si siano sentite riservatamente, prima o dopo.

Il boccino del disgelo e il filo del dialogo stanno soprattutto alla premier, che ha una responsabilità a nome di tutti gli italiani, come negli ultimi tempi le ricordano, rimproverandola di agitarsi come una leader di partito. In effetti Meloni ha già ripetuto diverse volte l’appello alle opposizioni per convergere almeno sui punti prioritari e comuni, pace in primis. L’ha aiutata in tal senso anche la sorella Arianna. Poi c’è Tajani, il più pacato, l’unico ad aver visto Schlein in Parlamento; quando riferisce del proprio lavoro è quasi ingenuo, fa concorrenza agli appelli del Papa: “Ho chiesto al ministro israeliano di non usare violenza”.

A Schlein e opposizioni sta la non minore responsabilità di convincere gli italiani della Flotilla a non proseguire la navigazione che, tra oggi e domani, li porterà in acque israeliane (a Roma, alla stazione Termini, c’è la veglia in diretta). Potrebbe capitare un incidente gravido di conseguenze, anche se qualcosa di simile è già successa con i turchi. L’apocalisse, per fortuna, è più difficile da far scoppiare di quanto si dica con irresponsabile facilità, annunciando continuamente la terza guerra mondiale.

Purtroppo la modalità comizio prevale: non se ne esce perché siamo in campagna elettorale permanente e le neuroscienze confermano che per il cervello umano non conta tanto ciò che diciamo ma il come, i contenuti sono accessori rispetto al tone of voice. Quando si ascoltano i leader si ritrovano così i soliti contenuti, le dichiarazioni reiterate a tormentone, i copioni già scritti e il volume sparato a palla, il tono stridulo, le urla. Di rimproveri da muovere ce ne sono sempre, per esempio “il cinismo di chi sfrutta le tragedie per racimolare voti”, come ha detto ieri Meloni dal palco.

Giorgia ha anche fatto sapere che a breve FDI, FI e Lega risolveranno il rebus dei candidati governatori per Veneto, Puglia e Campania. E se si fa la pace tra alleati per le elezioni locali, forse si riesce a fare anche quella mondiale tra israeliani, palestinesi, russi e ucraini. Sperando che intanto non scoppi la guerriglia alle manifestazioni pacifiste, sempre parecchio bellicose. Donald Trump, al Pentagono, ha detto che le città sono “campi di battaglia” da usare come aree di addestramento militare per fronteggiare l’“invasione dall’interno”.

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