“Posizione, posizione, posizione”. Le cosiddette tre regole che determinano il successo di un punto vendita della GDO. Una posizione giusta fa la differenza. Eppure è difficile individuare insegne che non abbiano mai chiuso un punto vendita o non abbiano mai sbagliato nella scelta della posizione.
Quello che si fatica a comprendere è che, salendo di scala, anche un Paese intero può perdere di interesse da parte di una multinazionale. Le ragioni possono essere molte. Da noi, sotto accusa, ci è sempre finito il management venuto da fuori: quello che vive lontano, nelle sedi centrali, e che secondo i critici non capisce, vuole centralizzare e omogeneizzare le decisioni e, soprattutto, non comprende le dinamiche concorrenziali locali. E, ovviamente, chi viene inviato a capo del Paese viene spesso ritenuto dagli osservatori locali una testa di legno.
Carrefour sta lasciando Italia, Polonia e Argentina. Rewe ha chiuso Billa ma ha lasciato Penny. Auchan se n’è andata, ma altre sue attività prosperano nel nostro Paese. Walmart ha lasciato a suo tempo la Germania. La stessa Carrefour, se non ricordo male, è arrivata in Italia nel 1972 a Carugate, in accordo con Standa, allora Montedison. Se n’è andata poco dopo, per ritornarci nel 1993.
Per le multinazionali della GDO, food e non food, è così da sempre: ci si espande o ci si ritira a seconda degli obiettivi e dei risultati. È difficile da accettare, ma è più una sconfitta per il Paese ospitante quando si perde un leader europeo o mondiale, che per la multinazionale che lascia. Perché oltre all’insegna, se ne va una cultura aziendale tipica della grande impresa, una scuola di management, di innovazione e sperimentazione, un laboratorio per i più giovani. Insomma, quando una multinazionale se ne va, il comparto si impoverisce. E l’irrilevanza sul piano economico e politico cresce. Dentro il nostro comparto c’è pure chi è contento, ma sono dinamiche di basso profilo.
Rewe se ne è andata quando ha capito che non avrebbe mai potuto essere tra le prime tre nel nostro Paese. Auchan, quando ha realizzato che lasciare, al punto in cui era, sarebbe costato molto meno che restare. E Carrefour ha deciso di andarsene solo quando la Borsa di Parigi ha suonato la campanella dell’ultimo giro per Alexandre Bompard, invitandolo a muoversi e a cedere i Paesi meno performanti. Unica condizione, a mio parere, per poi procedere alla vendita totale.
LIDL e Action, per fare due esempi, procedono invece come rulli compressori. Aldi, con l’arrivo di Jason Hart, credo si prepari a un rilancio in grande stile in Europa. Spero arrivino altri. C’è chi punta su Mercadona, chi su Ahold Delhaize e chi su Walmart. Vedremo.
Carrefour è però un caso particolare. È una delle principali realtà mondiali nel settore della grande distribuzione. Sta affrontando una trasformazione strategica sotto la guida di Alexandre Bompard, ma sta anche declinando. Prima presente nei quattro continenti, oggi cerca di concentrare le sue attività su tre mercati chiave: Francia, Brasile e Spagna, che rappresentano i tre quarti del suo fatturato globale.
La Borsa, sotto sotto, scommette sulla vendita. Chi è interessato ad acquisirla la vuole però prima “ripulita”, così come gli investitori. Bompard, credo per questo motivo, ha guadagnato il rinnovo, ma è indubbio che negli ultimi anni Carrefour ha ridotto significativamente la sua presenza internazionale. Dal 2019, il gruppo ha venduto le sue attività in Cina, Taiwan, Singapore e, più recentemente, in Italia. L’uscita da mercati come Argentina e Polonia è prevista a breve.
Questo disimpegno dai mercati meno redditizi può essere letto come parte di una revisione strategica volta a rafforzare la posizione nei mercati principali o, come la leggo io, a rendere Carrefour vendibile nel suo complesso (in tutto o in parte) a investitori che non vogliono essere coinvolti nella riorganizzazione in prima persona.
Pur in questo contesto, con una valutazione al minimo e snobbata dalla Borsa, Carrefour non è comunque ferma. Parallelamente alla riduzione della portata internazionale, il gruppo sta investendo massicciamente per rafforzare la propria presenza nei mercati locali. In Francia, ha acquisito 60 ipermercati e 115 supermercati da Cora e Match nel 2023, un’operazione da 1 miliardo di euro che ha incrementato la sua quota di mercato. In Spagna ha rilanciato il marchio City, acquisito punti vendita Supercor e aperto nuovi negozi in posizioni strategiche.
A Parigi, Carrefour sta testando il concept Carrefour Buybye, nato in Belgio, pensato per hotel, aeroporti, stazioni ecc. Inoltre, il gruppo ha introdotto nuovi marchi come Potager City, focalizzato su frutta e verdura fresca, e Api, un format self-service per piccoli centri e stazioni ferroviarie sul modello di Rewe Go.
Sono due livelli paralleli. A livello macro, la quotazione in Borsa mostra un destino segnato che solo la testardaggine del Governo francese può cambiare. Oppure, una formula che preveda una consistente partecipazione di minoranza (vedi l’ipotesi Mercadona), che faccia uscire Carrefour dalle dinamiche, severe ma inevitabili, della Borsa.
A livello micro, la vita quotidiana va avanti, tenendo impegnata l’intera struttura sui singoli progetti. Per certi versi mi ricorda l’attivismo di Christophe Rabatel in Italia, che nonostante le crepe che si stavano aprendo sul futuro del gruppo, ha cercato — credendoci — di tenere la barra dritta, motivare la squadra, convinto di potercela fare. Credo che anche il suo futuro sia ancora tutto da scrivere.
Adesso in Italia tocca ad Angelo Mastrolia, al suo piano industriale, alla sua visione del business, provare a risalire la china. Io non sono interessato a salire sul carro di chi pensa che siamo alla vigilia di una rivoluzione. Quello che ho sentito finora non mi ha convinto. Attendo i fatti. E credo lo attendano anche in sede, nei punti vendita e tra i franchisee.
Conad, a distanza di sei anni dalla cessione di Auchan, può dire che l’operazione, pur molto complessa nella sua operatività, ha funzionato. Ma in quel caso si trattava di integrare due reti. Nel caso di NewPrinces, l’ambizione dichiarata è un’altra: a un’insegna già in affanno si chiede di trasformarsi nel terminale di un disegno molto complesso per il nostro Paese. Allo stato attuale, mantengo le mie forti perplessità.