Dopo l’umiliante crollo del Credit Suisse domenica 19 marzo 2023 un’altra grandissima e ancora più emblematica impresa elvetica sta attraversando un periodo che definire difficile sembra un eufemismo. Ieri Nestlé ha annunciato l’uscita di scena anticipata del presidente Paul Bulcke che pure, meno di venti giorni fa, al momento del “licenziamento” del Ceo Laurent Freixe a un anno dalla sua investitura aveva preannunciato l’intenzione di ritirarsi in occasione della prossima assemblea di bilancio nella primavera 2026.
Teoricamente l’uscita di Bulcke è connessa al legame sentimentale non dichiarato, anzi recisamente negato – in violazione delle regole deontologiche interne – con una dipendente che “riportava” direttamente a Laurent Freixe, Ceo designato da Bulcke un anno fa e da quest’ultimo non “vigilato” adeguatamente. In realtà, è accaduto che alcuni azionisti “pesanti” nel colosso di Vevey hanno perso la pazienza dopo che per separare il proprio destino da quello di Freixe, per accertare una tresca, che fonti interne definiscono “segreto di pulcinella”, Bulcke abbia promosso un’indagine interna e poi una seconda indagine affidata a uno studio legale esterno. Così, il 13 settembre scorso il Financial Times pubblica un articolo intitolato “Nestlé investors call for chair to step down over executive turmoil”, dove si può leggere che “per uno dei primi 30 azionisti di Nestlé è una questione di pudore che si dimetta dal proprio ufficio senza aspettare aprile dell’anno prossimo. Bulcke ha perso il rispetto e la fiducia degli investitori”.
Se Bulcke non ha potuto resistere più di tre giorni all’articolo del Ft, è altrettanto evidente che ai grandi azionisti interessa pochissimo la vita sentimentale di Freixe e ancora meno il fatto che il chairman ne fosse o meno al corrente, mentre interessa moltissimo il fatto che negli ultimi cinque anni la quotazione di Nestlé si sia quasi dimezzata, da quasi 130 a 70 chf, e che la gestione sia in preda al “turmoil”, al subbuglio.
Inside Paradeplatz, un sito molto seguito nell’ambiente finanziario elvetico, ieri pubblicava una sorta di requisitoria sul modo come Nestlé è stata gestita negli ultimi quindici anni che vale la pena di riportare, in libera traduzione, quantomeno nella parte conclusiva: “Comprarsi gli azionisti con dividendi in costante crescita e giganteschi acquisti di azioni proprie. Dal 2010 al 2025 il management ha trasferito agli azionisti 108 miliardi di dividendi. In contropartita c’erano 157 miliardi di utili a disposizione, ma il saldo positivo non è stato impiegato nel business. Al contrario sono stati lanciati piani di riacquisto di azioni proprie uno dopo l’altro. Nell’arco di 15 anni la spesa per i riacquisti è stata di 71 miliardi. In contanti. Dividendi e riacquisti di azioni proprie, le due maggiori uscite fanno quindi un totale 180 miliardi contro i 157 miliardi di utile di cui si è detto. Questo significa che Bulcke e i suoi chers amis vivevano alla grande. Nessun problema. Siamo Nestlé, siamo i meglio. E poi c’era ancora il tesoro in cassaforte, la partecipazione nell’Oréal. In caso di necessità si potevano sbloccare miliardi dal gigante francese della cosmetica. I boss Nestlé l’avevano già fatto ma in Ditta è rimasto il 20%. Siccome le azioni sono in bilancio a prezzi molto lontani dal valore di mercato, gli svizzeri sono seduti su enormi riserve implicite. Per il duo Isla-Navratil (nuovo Chair e nuovo Ceo rispettivamente, ndr) il tesoro dell’Oréal offre l’occasione di ridurre il peso dell’indebitamento e ricondurre il Gruppo ai suoi punti di forza”.
I numeri sono impressionanti ma non raccontano tutta la storia.
Forse ha ragione Warren Buffett quando ammonisce: “La diversificazione è una protezione contro l’ignoranza. Non ha molto senso per coloro i quali sanno cosa stanno facendo”. Forse quando, un decennio fa i vertici di Nestlé decisero di consegnare il bastone del comando a Mark Schneider, Ceo di una multinazionale del settore sanitario, con dichiarazioni come questa del chairman di allora Peter Brabeck: “Con Paul Bulcke e Ulf Mark Schneider, la Nestlé potrà accelerare la propria ambizione di diventare un attore mondiale di primo piano nel settore della nutrizione, salute e benessere”, per congedarlo l’anno scorso dopo otto anni di vendite stagnanti, non sapevano cosa stavano facendo. O lo sapevano fin troppo bene.