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Cortocircuito Ue su Facebook, Instagram e TikTok

La Commissione europea sbaglia la procedura prevista dalle norme europee per comunicare le tasse che i giganti dei social Facebook, Instagram e TikTok devono pagare. Ora avrà 12 mesi di tempo per correggerla. A carico dei colossi del Web resta invariato l'onere del pagamento dei tributi, ma saranno più motivati ora a continuare le proprie battaglie legali per chiedere una revisione nel merito

Inciampo goffo e rumoroso della Ue nella sua battaglia legale contro Meta (Big Tech statunitense proprietaria dei social Facebook e Instagram) e ByteDance (etichetta asiatica dietro a TikTok).

PER META E TIKTOK LA COMMISSIONE HA AGITO ARBITRARIAMENTE

Il Tribunale Ue adito da Mr. Facebook, ovvero Mark Zuckerberg, afferma l’illegittimità dell’esposizione del metodo di calcolo basato sulla media mensile degli utenti delle grandi piattaforme in quanto contenuta nei singoli atti di esecuzione e non in un generale atto delegato.

Al centro del contendere i 58 milioni di euro chiesti a Meta Platforms Ireland Ltd e TikTok Technology Ltd come crediti di supervisione. Per le due società, la modalità operativa utilizzata non può essere decisa arbitrariamente dalla Commissione ed è stata la tesi accolta anche dai magistrati.

FACEBOOK VS UE, 1 A 0? NON PROPRIO

L’errore non starebbe tanto nella sostanza quanto – ed è persino peggio – nella forma. Infatti, secondo i magistrati comunitari, la metodologia di calcolo del numero mensile medio di utenti dei servizi delle grandi piattaforme o motori di ricerca su Internet, alla base della fissazione del contributo dovuto a copertura dei costi dell’attività di vigilanza della Commissione sui servizi medesimi, sarebbe dovuta essere stabilita dal governo di Ursula von der Leyen attraverso un atto normativo delegato relativo al regolamento europeo sui servizi digitali.

Di contro la Commissione ha inoltrato atti di esecuzione individuali indirizzati alle società proprietarie di Facebook, Instagram e Tik Tok. Se si vuole ulteriormente addentrarsi in tecnicismi, la Commissione è stata bacchettata per non aver rispettato il dettato normativo previsto dall’articolo 87, paragrafi 4 e 6, del regolamento sui servizi digitali , meglio noto “DSA”.

COSA SUCCEDE ORA

Secondo il tribunale, l’iter costituisce “un elemento essenziale e indispensabile del calcolo del contributo per le attività di vigilanza”. Nonostante l’annullamento per vizio procedurale, il Tribunale ha mantenuto provvisoriamente in vigore gli effetti delle decisioni contestate. Ora la Commissione ha 12 mesi per adottare un atto delegato che formalizzi il calcolo del contributo, che sarà comunque da pagare per il 2023.

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ESULTA COMUNQUE LA UE

“Nessun errore di calcolo, nessuna sospensione dei pagamenti, nessun problema con il principio del contributo né con il suo importo. Le società interessate devono pagare il contributo di vigilanza per il 2023”, si affretta a dire Thomas Regnier, portavoce della Commissione europea. Che quindi chiosa: “La sentenza richiede una correzione puramente formale della procedura, il tribunale ci dà ragione”.

TUTTI VINCITORI?

Meta d’altro canto sostiene che “questa sentenza costringerà la Commissione Europea a rivalutare la metodologia ingiusta utilizzata per calcolare queste tariffe DSA”. Il portavoce di TikTok, Paolo Ganino, ha aggiunto: “Apprezziamo la decisione della Corte e aspettiamo sviluppi”.

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