In Francia Emmanuel Macron, dopo le dimissioni di Francois Bayrou, ha scelto di nominare Sébastien Lecornu per cercare un dialogo tra le forze politiche e arrivare a una legge di bilancio. Jean Pierre Darnis, professore all’Università della Costa Azzurra di Nizza e alla Luiss di Roma, ci spiega quali sono le prospettive di un paese sempre più in bilico.
La scelta di continuità di Macron di nominare Lecornu è un tentativo estremo di arrivare al 2027?
La prima lettura è quella. Sébastien Lecornu era fino ad oggi ministro della difesa, è un politico giovane, molto fedele a Macron, bravo. Viene dalla destra, dai Républicains. È un politico che ha commesso pochissimi errori, di razza, che ama molto il negoziato, ha contatti abbastanza larghi con tutto lo spettro parlamentare. Ed è uno giovane che qualche voglia di fare, qualche voglia sul suo futuro ce l’ha. Diversamente dai due precedenti, Barnier e Bayrou. Macron in termini tattici per i suoi scopi, che magari io non condivido, ha fatto bene perché tanto il perimetro di una maggioranza che lo può sostenere deve partire dai macronisti della destra.
Macron quindi non aveva alternative?
Dando un mandato ai socialisti non era possibile mandare avanti la baracca, perché la sua alleanza che regge il governo si sarebbe spaccata con l’uscita dei Républicains. La vera sfida sarà traghettare questa compagine fino al 2026, alle elezioni amministrative, il che più o meno proietta al 2027, perché dopo le comunali difficilmente si decide per un voto anticipato e quindi si aspettano le presidenziali. Ma questo traghettamento funziona soltanto se c’è un appoggio esterno, perlomeno sulla legge di bilancio. Se riesce a negoziare dei compromessi sul budget, dalla legge sulle pensioni o sul debito, allora può pensare di sopravvivere.
Il governo Bayrou è stato un fallimento?
Francamente, è stata una delusione in termini di ricerca del dialogo, aveva creato un tavolo sulle pensioni con i sindacati che poi si è bloccato. Ora starà a Lecornu provare a riannodare un minimo i fili. Se non riuscirà sarà probabilmente vittima di una mozione di censura che metterebbe fine al governo. In tal caso, si potrebbe andare verso nuove elezioni politiche in Francia. Se poi ci fosse un blocco più forte, ovviamente la responsabilità del presidente della Repubblica Emmanuel Macron sarebbe ancor più pesante. Le estreme già chiedono le sue dimissioni, ma anche alcune voci moderate stanno iniziando a pensarlo e a dirlo apertamente. Quindi rimane ovviamente sulla graticola.
Ha parlato degli errori di Bayrou. Macron ha grosse responsabilità, ovviamente, per la situazione politico-sociale della Francia di oggi. Qual è la prospettiva per il presidente?
Lui vorrebbe chiudere il suo ciclo. Macron è uno che ha avuto spesso fortuna, fortuna a cui lui crede. Crede anche negli avvenimenti esterni che possono scombussolare il gioco. Ad esempio, la guerra in Ucraina ha favorito la sua rielezione. Senza il conflitto, per lui sarebbe stato molto più difficile farsi rieleggere nel 2022. Quindi in qualche modo prova a tirare a campare perché dice: ogni giorno guadagnato ci sono più probabilità che avvenga qualcosa da sfruttare. Tra la seconda presidenza Trump, che crea enormi problemi, tra la Russia e la guerra in Ucraina, più altre questioni per cui lo scenario internazionale è intriso di dinamiche che possono sconvolgere e influenzare la politica.
Nessuna dimissione quindi?
Se desse le dimissioni, darebbe un colpo all’istituzione presidenziale francese, e lui non lo vuole fare. Però allo stesso tempo – almeno fino a ieri, ora vediamo con Lecornu – non stava favorendo un’evoluzione più parlamentare, più dialogante.
È anche vero che la situazione non è di facile soluzione.
C’è una tripartizione delle forze politiche. Una circostanza che richiederebbe un’evoluzione nella pratica, magari addirittura a livello istituzionale per adeguarsi a questo stato che sembra essere ormai, non dico perenne, ma sicuramente duraturo per la Francia. Non c’è una prospettiva di ritorno al bipolarismo nel breve. Ci vorrebbero riforme, ma per il momento non se ne parla. Regnano i giochi politici, dove ognuno pensa sempre di poter vincere alla lotteria, che non è vincere, ma arrivare secondo al primo turno delle prossime presidenziali in modo da sfruttare una probabile unione contro il Rassemblement National.
Per Macron il tempo è agli sgoccioli?
Non si può ripresentare nel 2027, alle prossime presidenziali, ma in un discorso si è lasciato in qualche modo scappare che ci pensa al 2032, quindi a ritornare.
Poi c’è la questione economica. Qual è la situazione reale in Francia?
La Francia ha un’economia con un suo assetto industriale, non è che stia così male, ma la gestione deficitaria delle finanze pubbliche è un problema obiettivo. È un problema di spesa, di disavanzo corrente che, ad esempio, in Italia non c’è oggi. Risorse che vengono tolte in qualche modo ad altre politiche. La gestione della finanza pubblica è in qualche modo una sintesi dei limiti del potere politico attuale, che sono anche limiti dell’azione pubblica, dell’azione sociale. Le logiche politiche individuali fanno un po’ a pugno in questo momento con questa idea di un interesse generale. Ed è un pericolo che, tra l’altro, giustamente, le varie agenzie di rating, gli osservatori e i mercati stanno registrando.
Il discorso di Bayrou sulle difficoltà economiche del paese, quindi, non era solo un modo strumentale per cercare di far votare la sua proposta di bilancio.
No, la situazione è veramente così. C’è un livello di preoccupazione, anche perché ogni partito sta dicendo, ovviamente in una fase di campagna, “spendiamo. Bisogna aiutare i piccoli comuni, bisogna aiutare i pensionati, bisogna aiutare i medici, bisogna aiutare la scuola”. Richieste molto legittime. Ma con questa competizione politica entropica non si riesce ad avere un ciclo duraturo, una legislatura nella quale si prendono decisioni di rigore sul budget, sulle finanze pubbliche, in modo da recuperare capacità e autonomia. Bayrou si è mosso molto male, ha fatto un errore politico. Potrà essere rieletto sindaco della sua città, ma penso che la sua storia politica sia finita. Però il fondo dell’urgenza politica espressa da Bayrou è reale. E penso che comunque una parte importante dei responsabili ne sia conscia. Ma il problema è trovare una formula politica competitiva in vista delle future elezioni e allo stesso tempo che permette di fare queste riforme.
Da qui la frase che in questi giorni, in questi mesi, sta diventando sempre più diffusa: i francesi si stanno italianizzando.
Se ci fosse un’italianizzazione istituzionale della Francia sarebbe auspicabile, perché si andrebbe verso più parlamentarismo e meno presidenzialismo, che forse permetterebbe di gestire molto meglio questa parentesi parlamentare. Ma questa evoluzione non c’è. Si fa riferimento al passato con i governi italiani che spesso cambiavano, ma anche quando la Democrazia cristiana cambiava ogni 6 mesi i governi la maggioranza aveva delle continuità. In Francia no. Ma capisco chi fa questo paragone. Purtroppo in Italia esiste un filone anti-francese molto diffuso. Personalmente mi rende abbastanza triste. In Francia nessuno è anti-italiano, mentre in Italia c’è chi è anti-francese, chi in qualche modo inizia a gioire o a divertirsi dei problemi della Francia. Solo che i problemi economici della Francia si riverberano anche in Italia, essendo partner commerciali strettissimi. E siamo in un momento in cui siamo chiamati a stringersi alla nostra Europa, anche di fronte agli attacchi statunitensi e all’attacco sul territorio ucraino da base dei russi.
In tutto ciò il nuovo movimento di protesta come si inserisce in questo contesto? Saranno i nuovi gilet gialli?
Questa protesta per il momento sembra un po’ diversa dai gilet gialli, più di sinistra, direi estrema e movimentista, la settimana prossima i sindacati hanno chiamato uno sciopero generale, più classico. Si tratta di una protesta di scontenti, ma è anche una protesta di fronte allo spettacolo della politica che non riesce a esprimere un consenso. C’è una percezione comune, ormai, di antipolitica crescente. L’Assemblée nationale in Francia è diventata uno spettacolo abbastanza triste dal punto di vista dei comportamenti individuali e collettivi. E la mancanza di stabilità è dannosa, con il populismo, gli estremismi di destra o di sinistra, che cercano di approfittare di questa cosa.
Il clima sarà rovente?
La possibilità di un autunno caldo c’è. Bisognerà anche vedere se i vecchi gilet gialli, che mai alla fine si sono tradotti in movimenti politici, visto che erano soprattutto dei movimenti di protesta, avranno voglia di tornare sulle rotatorie dove anni fa bloccavano il traffico. E se queste mobilitazioni rimarranno contenute o se meriteranno una risposta politica. Il governo comunque ha dato ordine di contenere duramente le proteste, per paura di un incendio sociale che inizia a divampare.