Le economie dell’Europa centrale e orientale, protagoniste di una crescita impressionante nei due decenni successivi all’adesione all’Unione Europea, mostrano oggi segnali di rallentamento strutturale. Un nuovo studio dell’Istituto per gli studi economici internazionali di Vienna (wiiw), uno dei think tank più autorevoli d’Europa nell’analisi dell’Europa centro-orientale, traccia una mappa dettagliata delle trasformazioni economiche in atto nella regione.
Dopo essere stati il “braccio manifatturiero” dell’Europa, paesi come Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia si trovano oggi in una fase di transizione incerta: il modello di crescita trainato dalla manifattura e dagli investimenti diretti esteri mostra i suoi limiti, e l’innovazione stenta a decollare.
DAL SUCCESSO MANIFATTURIERO ALLA DIPENDENZA STRUTTURALE
Nel primo decennio post-adesione all’Ue, i paesi denominati con l’acronimo inglese Cee (Central and Eastern Europe) hanno vissuto una rapida convergenza economica con l’Europa occidentale, beneficiando di forti flussi di investimenti esteri e di un accesso privilegiato alle catene globali del valore. Il settore manifatturiero si è affermato come fulcro dell’attività economica, in particolare l’industria automobilistica, che oggi impiega oltre un milione di persone e rappresenta circa un quinto del valore aggiunto in Slovacchia e Repubblica Ceca. La qualità delle esportazioni è migliorata al punto da diventare comparabile con quella tedesca in alcuni comparti.
Tuttavia, avvertono i ricercatori viennesi, questa specializzazione ha creato una vulnerabilità strutturale. “Le economie della regione rimangono eccessivamente dipendenti da produzioni a basso valore aggiunto, con limitate capacità di scalata verso attività più sofisticate come la ricerca e lo sviluppo o la gestione commerciale. L’esposizione alle catene del valore globali ha mostrato i suoi rischi con la pandemia e oggi, in un contesto di debole domanda esterna, la crescita rallenta. La produttività totale dei fattori, un tempo il motore della convergenza, ha perso slancio e i flussi di investimenti esteri si sono ridotti stabilmente, con segnali che indicano cause strutturali, più che cicliche”.
IL POTENZIALE ANCORA INESPRESSO
Negli ultimi anni, alcuni paesi della regione hanno avviato una diversificazione, in particolare verso i servizi digitali e ad alta intensità di conoscenza. Bulgaria, Estonia, Lettonia e Romania hanno registrato una crescita significativa nei settori IT e dei servizi moderni, come la consulenza informatica. Tuttavia, la maggior parte delle economie centro ed est-europee resta ancora ancorata a produzioni ad alta intensità energetica, con un uso elevato di combustibili fossili che oscilla dal 40% della domanda energetica in Slovacchia al 65% in Romania.
L’intensità energetica elevata rappresenta un ostacolo alla competitività e agli investimenti, aggravato dai costi in crescita dell’energia fossile e dai rischi geopolitici legati alla dipendenza da forniture esterne. Una sfida cruciale per questi paesi è quindi quella di ridurre il fabbisogno energetico e al contempo accelerare la transizione verso fonti più pulite ed economiche. A questo si aggiunge l’urgenza di individuare nuove nicchie industriali in grado di sostenere una crescita più sostenibile e orientata all’innovazione.
LO “SPAZIO DEL PRODOTTO” E OPPORTUNITÀ DI DIVERSIFICAZIONE
La ricerca del wiiw propone uno strumento analitico sofisticato per aiutare le economie della regione a individuare nuovi settori di crescita: lo “spazio del prodotto”. Questo metodo analizza l’insieme dei beni già esportati da un paese, identificando quelli simili – per tecnologie, competenze e infrastrutture – ma non ancora sfruttati. Più un prodotto è “complesso”, più alto è il potenziale di stimolo alla crescita futura. Applicando questo schema, lo studio ha individuato 102 prodotti con potenziale di espansione per dieci economie Cee.
I settori più promettenti risultano essere quelli dei macchinari e delle attrezzature, e della chimica fine. Alcuni prodotti, come i fenoli e i preparati per il trattamento delle superfici metalliche, offrono opportunità di sviluppo comuni a più paesi. Altri, invece, sono più adatti a singole economie, in base al loro attuale paniere produttivo e alla distanza tecnologica da colmare. Tre gruppi di paesi emergono in base alla loro capacità di diversificazione: la Repubblica Ceca, già fortemente diversificata e vicina al massimo della propria complessità economica; il gruppo intermedio (Ungheria, Slovacchia e Slovenia); e infine il gruppo a complessità minore (Romania, Polonia, i Paesi Baltici, Croazia e Bulgaria), che ha maggiori margini di miglioramento ma anche maggiori difficoltà.
INNOVAZIONE E CAPITALE UMANO
Per compiere un salto qualitativo nel proprio sviluppo, la regione centro-orientale dovrà rafforzare la propria capacità innovativa. Negli ultimi anni, ci sono stati segnali positivi: le imprese impiegano più personale nella ricerca e sviluppo, gli investimenti in proprietà intellettuale sono cresciuti, e sempre più aziende estere stanno spostando funzioni di sviluppo prodotto nei paesi Cee. Tuttavia, il gap con l’Europa occidentale resta ampio. Solo otto delle 2500 imprese globali con maggiori spese in ricerca e sviluppo hanno sede nella regione, e gli investimenti in capitale intellettuale sono ancora inferiori alla media Ue.
La cooperazione tra università e imprese resta carente, penalizzando la trasformazione di idee in applicazioni commerciali. Ostacoli strutturali come la carenza di manodopera qualificata – aggravata dall’emigrazione, dal calo demografico e dalla modesta capacità di attrazione verso la forza lavoro straniera – e la scarsità di capitale di rischio frenano ulteriormente l’innovazione. Solo il 5% dei fondi di venture capital europei è destinato alla regione, sebbene Estonia e Polonia si distinguano per attrattività in questo campo. Colmare questi divari richiederà politiche mirate: gli esperti dell’istituto austriaco suggeriscono investimenti in infrastrutture sociali, incentivi alla ricerca e sviluppo, rafforzamento delle università e sviluppo di mercati dei capitali più profondi. Il modello manifatturiero che ha sostenuto la convergenza dei primi vent’anni va dunque evoluto verso un’economia più innovativa, flessibile e sostenibile. Le traiettorie esistono, ma percorrerle richiederà coordinamento, investimenti e volontà politica. Un mix non sempre presente, e non solo a est.