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guerra ucraina

Come e perché quanto visto con l’invasione di Praga rischia di essere ancora attuale

Gli ucraini non chiedono burro, ma cannoni. E per fortuna al mondo esistono ancora popoli capaci di compiere la scelta giusta

 

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia (La Nato dell’Impero sovietico) invasero la Cecoslovacchia e stroncarono la c.d. Primavera di Praga ovvero il tentativo del leader del partito comunista di quel Paese, Alexander Dubcek, di costruire un regime più aperto ed orientato alla democrazia. La prospettiva di un ‘’comunismo dal volto umano’’ (come si diceva allora) aveva suscitato molte speranze (ed illusioni) nel mondo (ancora squassato dai venti della contestazione giovanile che stavano spirando in tutto l’Occidente).

Ma quell’esperienza venne ritenuta insostenibile dai despoti del Cremlino a causa degli effetti imitativi che si temeva esplodessero in tutti i Paesi del c.d. socialismo reale. La parola passò quindi ai carri armati. Ci vollero altri vent’anni perché quei regimi cadessero, uno dopo l’altro, come castelli di carte, dopo dopo il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre del 1989. L’Ufficio politico del Pci (il più importante organo esecutivo in quel momento) prese le distanze con un comunicato che fu salutato – per le parole ‘’grave dissenso’’ – come una svolta nella linea di condotta del Partito.

‘’Allo stato dei fatti, non si comprende come abbia potuto in queste condizioni essere presa la grave decisione di un intervento militare. L’ufficio politico del PCI considera perciò ingiustificata tale decisione, che non si concilia con i principi dell’autonomia e indipendenza di ogni partito comunista e di ogni Stato socialista e con le esigenze di una difesa dell’unità del movimento operaio e comunista internazionale. È nello spirito del più convinto e fermo internazionalismo proletario, e ribadendo ancora una volta il profondo, fraterno e schietto rapporto che unisce i comunisti italiani alla Unione Sovietica, che l’ufficio politico del PCI sente il dovere di esprimere subito questo suo grave dissenso’’.

Da notare ‘’il profondo, fraterno e schietto rapporto che unisce i comunisti italiani all’Unione Sovietica’’. Forse, in sede storica, sarebbe bene ridimensionare l’importanza di quella svolta e riconoscere che, allora, si era molto generosi nei confronti del Pci, sopravvalutando atti politici connotati da cerchiobottismo. Il 21 agosto è una data importante nella storia del Pci. Quattro anni prima in quello stesso giorno moriva a Yalta Palmiro Togliatti. ‘’Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer ’’: era l’intonazione orgogliosa che accompagnava le oceaniche manifestazioni del Pci nel bel tempo che fu, quando le Feste dell’Unità costituivano lo scenario della ripresa dell’attività politica dopo la pausa estiva. Oggi quel ruolo lo svolge il Meeting di Rimini. Ho avuto modo di riflettere sulla ‘’passioni’’ e le antipatie dei comunisti, anche se ex o omologati nel Pd. A parte la sudditanza per Stalin (del resto anche Pietro Nenni commemorando il suo decesso alla Camera si esibì nel seguente elogio funebre: ‘’Si è spenta una luce che illuminava tutto il mondo’’).

l leader socialista si riscattò restituendo il Premio Stalin dopo le denunce del XX Congresso del PCUS sui misfatti del despota. Nikita Kruscev non fu amato dai dirigenti e dalla base comunista e la sua sostituzione fu accolta quasi con favore. Togliatti non gli perdonò mai la svolta del XX congresso. Anzi nel Memoriale di Yalta scritto prima della sua morte e reso noto subito dopo, erano contenute – sia pure in tono diplomatico – delle critiche proprio alla direzione del PCUS. Da Breznev in poi – pur nella riconferma dei saldi rapporti – cominciò nel Pci la ricerca di una terza via, l’eurocomunismo e quant’altro. L’approvazione per Dubcek è la stessa che molti anni dopo venne rivolta a Gorbaciov.

Ambedue non volevano mettere in discussione il comunismo, lo volevano riformare. I comunisti non hanno mai accolto con simpatia gli oppositori del socialismo realizzato. Hanno ignorato i dissidenti russi e quelli dei paesi satelliti, come Walesa in Polonia o Havel in Cecoslovacchia. Nei confronti di queste personalità hanno avuto il medesimo sentimento di antipatia che nutrono visibilmente nei confronti di Zelensky, come se opporsi a Putin fosse un’eresia da non condividere.

E’ veramente singolare che lo zar abbia potuto sventrare un Paese confinante, colpendo in via prioritaria i civili senza che i manifestanti di professione non abbiano mai sentito il dovere di muovere un dito se non per chiedere di disarmare l’Ucraina. Ciò mentre hanno perso la testa nella vicenda di Gaza, trattando gli israeliani come nazisti soltanto perché fanno con molta più attenzione le stesse azioni belliche che Putin porta avanti da più di tre anni.

Facciamo un solo esempio. La destra israeliana, sbagliando, vuole fare un nuovo insediamento in Cisgiordania. Tutti condannano e disapprovano persino gli amici. Le stesse persone sono in attesa delle concessioni territoriali che saranno fatte a Putin e considerano Zelensky e i leader europei dei grandi rompiballe perché stanno mettendosi di traverso. Se fosse per loro l’Ucraina andrebbe disarmata. I civili, i bambini, i vecchi, le donne ucraini non vengono da Marte, ma sembrano diversi da quelli di Gaza. A loro sono rimasti solo gli occhi per piangere, vivono nelle cantine, sotto i ponti, nei rifugi e non c’è nessuno che scarica su di loro tonnellate di aiuti umanitari (quelli che a Gaza finiscono al mercato nero di Hamas). Anche perché gli ucraini non chiedono burro, ma cannoni. E per fortuna al mondo esistono ancora popoli capaci di compiere la scelta giusta.

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