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Che cosa succederà dopo il vertice in Alaska

Le mosse di Zelensky e dell'Europa dopo il vertice fra Trump e Putin in Alaska. Il taccuino di Guiglia

Non è vero che gli assenti abbiano sempre torto. Esclusi dal faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska quali petulanti intrusi, Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina aggredita e i rappresentanti dei Paesi europei che lo sostengono sono riusciti, ciononostante, a far valere le loro ragioni da lontano.

Poteva finire malissimo l’insidioso incontro che il presidente statunitense ha voluto con l’uomo inseguito da un mandato di cattura per crimini di guerra -al secolo lo Zar di tutte le Russie-, e che invece è stato accolto col tappeto rosso e persino all’insegna di una comica invocazione alla pace scolpita quale motto del vertice nelle stesse ore in cui Mosca bombardava gli ucraini come prima e più di prima.

Poteva, cioè, accadere che lo smanioso Trump, nella speranza di ottenere il premio Nobel per la pace a cui s’è umilmente autocandidato, accettasse il diktat sovietico, come sarebbe stato definito un tempo imperiale che purtroppo sembra tornato. In sostanza, il riconoscimento dell’intero territorio conquistato con le armi (un quinto della nazione ucraina), il veto all’adesione di Kiev alla Nato e perfino all’Ue, la smilitarizzazione del Paese invaso e quant’altro lo Zar esige per porre fine alla sua guerra.

Tutto ciò non è, invece, successo, perché Putin -per la fortuna dell’Ucraina e del mondo libero- ha respinto l’unica condizione, fragile eppur importante, che l’inquilino della Casa Bianca chiedeva all’interlocutore per far digerire a Kiev e a Bruxelles il prezzo di un accordo equivalente alla resa del diritto alla violenza: una tregua.

Per quanto fanfarone lo stesso Trump ha capito che non avrebbe potuto né dovuto avallare un’intesa così diseguale senza il consenso degli aggrediti e dei suoi sostenitori occidentali. E così la montagna di ghiaccio in Alaska ha partorito un topolino e l’attrazione fatale tra i due megalomani s’è consumata tra buoni propositi e nessun impegno da parte di Putin.

Dunque, spiragli e speranze, non però cedimenti senza accordi. Zelensky si vedrà con Trump per sentirsi dire che lo Zar vuole mangiarsi una buona fetta dell’Ucraina per deglutire la richiesta di fermare i bombardamenti. Ma al momento il peggio e pur paventato -Trump trasformato in ventriloquo geopolitico di Putin- è stato sventato.

Certo, il presidente russo ha ottenuto in mondovisione la legittimazione che andava cercando. Ha detto in pubblico all’amico Donald, giusto per innaffiargli l’Ego senza frontiere, che se nel 2022 ci fosse stato lui al posto di Biden, la guerra non sarebbe cominciata.

Ma al di là dello spettacolo desolante (“disgustoso”, secondo la stampa ucraina) a cui ha assistito chi sa ancora distinguere la verità dei fatti dalla propaganda, l’esito può essere di conforto per l’Europa. Perché ha dimostrato che l’unità di intenti dei principali Paesi -a cominciare dal nostro- e l’intervento a più voci fatto con Trump alla vigilia del vertice hanno dato i loro frutti. La strategia europea sempre a fianco della libertà dell’Ucraina e della sicurezza dell’intero continente era giusta ed è stata premiata.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)

www.federicoguiglia.com

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