Risalente ai lontani, lontanissimi diciotto anni pima di Cristo, quando l’imperatore romano Ottaviano Augusto la istituì per celebrare le sue vittorie e insieme il riposo dei lavoratori nei campi, dove tanto si era dovuto faticare nei raccolti, la festa di Ferragosto divenne rapidamente popolare. Tanto lo divenne che la Chiesa a tempo debito, subentrata per certi versi all’Impero Romano, quello che ancora si scrive con le maiuscole nei libri di storia, ci mise sopra il cappello promovendola a festa dell’Assunzione di Maria Vergine al Cielo.
La natura imperiale di quella, anzi di questa festa è tuttavia rimasta nella cultura e nell’immaginario collettivo. Anche in quello del presidente americano Donald Trump, che già dall’alto dei suoi 192 centimetri, solo otto meno di due metri, e con quelle scarpe arrivate chissà a quale numero per fargliele risultare comode davvero, giù si sente e si vede scultoreo per essere innalzato sulle terre che costruisce o dove gli capita di arrivare. La sua stessa firma, con quelle torri allineate con una penna, o un pennarello, rigorosamente nero usato con una forza che mette a dura prova la solidità della carta su cui l’appone, ha un che di imperiale. Come quella proiezione aurea da lui voluta sulla terra di Gaza ricostruita come una riviera ricca e festosa sulle ceneri alle quali sarà probabilmente ridotta alla fine, e insieme, dai terroristi di Hamas sbizzarritisi cinicamente nel trasformarne le viscere in arsenali militari, usando come ostaggi i palestinesi con le loro casa, le loro strade, le loro scuole, i loro ospedali, e dal governo israeliano sfidato col pogrom del 7 ottobre 2023, meno di due anni fa. Anche se molti cercano di farlo dimenticare come se fosse accaduto nel secolo scorso.
Tentato di celebrarlo a Roma, fra la Cupola di Michelangelo e il Colosseo, dove sicuramente la premier Giorgia Meloni l’avrebbe ospitato di cuore, l’imperatore immaginario Augusto Donald Trump ha dovuto scegliere per l’incontro con l’altro imperatore immaginario, o zar, Vlaidimir Vladimirovic Putin, in Alaska. Dove i due vorrebbero in cuor luogo giocar al mappamondo con al pallon. Ridisegnare le carte geografiche che fecero a Yalta, nella Crimea che la Russia si è ripresa con la forza strappandola all’Ucraina, i vincitori della seconda guerra mondiale. Ridottisi questa volta, senza un’altra guerra mondiale, ma con l’intreccio di tante guerre nominalmente locali o regionali, a due: Trump al posto di Franklin Delano Roosevelt, senza la sua carrozzella, e Putin al posto di Josif Stalin.
E l’Europa, di fatto rappresentata a Yalta dal premier inglese Winston Churchill, dove sarà in Alaska? Semplicemente non ci sarà, per quanto nel frattempo diventata Unione con la Gran Bretagna uscitane per tornare sulla soglia. E neppure l’Ucraina che pure se ne sente parte, combatte da tre anni e mezzo per sopravvivere ed è la preda che teme di essere sostanzialmente lasciata da Trump a Putin. Un Ferragosto davvero poco festivo.