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Vi racconto gli ultimi pistolotti letti sulla stampa

Alcune licenze poetiche agostane un po' grossolane osservate sulla stampa online: i casi Post e Linkiesta. La lettera di Teodoro Dalavecuras

Caro direttore,

mi scuso in anticipo se provo a distoglierti dai temi cruciali dell’economia e della geopolitica che sei costretto per dovere professionale a inseguire da mane a sera, con le mie ossessioni lessicali, ma oggi potrei fare ancora di peggio, intrattenerti sulla giornata internazionale dei giovani. Non lo farò.

Leggevo sul Post, ieri o ieri l’altro, un elegante pezzo agostano sui dilemmi di Giorgia Meloni per le vacanze: Salento, col rischio di scontentare il sottosegretario alla Salute, oppure Valle d’Itria con il rischio opposto di trascurare “il” vicepresidente della Commissione europea? Ti confesso che questo “il” mi irrita da molto tempo posto che, come ben sai, i vicepresidenti della Commissione sono sei o sette (todos caballeros).

Nel caso del Post possiamo considerarla quasi una licenza poetica, ma quando si leggeva delle valige strapiene di banconote “trovate” nell’appartamento brussellese “della” vicepresidente del Parlamento europeo, la povera Kaili, era un modo impudente di gonfiare una vicenda di cui molti di coloro che l’hanno “scoperchiata”, “denunciata” e “perseguita” avrebbero più di un motivo di vergognarsi, se la vergogna non fosse stata depennata dal catalogo dei sentimenti raccomandati.

Era, in ogni caso, disinformazione: come è sempre stata disinformazione- alla quale per stanchezza ci siamo tutti rassegnati – oltre che piaggeria, naturalmente, chiamare “Governatori” i presidenti delle giunte regionali che, per fortuna, a parte la passione per il real estate, hanno poco in comune con i governatori degli stati degli Stati Uniti.

Veniamo a questa mattina. Nel sommario del primo articolo dei tuoi amici della Linkiesta leggo quanto segue: “L’attrazione per il modello Putin affonda le radici in una crisi interna alle democrazie occidentali, dove milioni di cittadini non credono più nel diritto come fondamento dell’ordine politico”.

Nella sostanza è una sintesi ineccepibile: più o meno con le stesse parole potresti trovarla sul Foglio, in un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere, per fare solo due esempi da un lunghissimo elenco. Questo si chiama ortodossia. Però, parlare di “modello” Putin, anche se si fa in fretta, è un errore grossolano perché un motivo importante per cui molti si sentono “attratti” (se dobbiamo per forza usare questo termine che priva d’imperio “milioni di cittadini” del dono del raziocinio) dalla figura di Putin è proprio perché, a differenza di quasi tutti i leader occidentali, fondamentalmente “superburocrati”, rifugge dai modelli.

E non parliamo nemmeno della svanita fede – di questi milioni di cittadini – “nel diritto come fondamento dell’ordine politico”. Questa fede è un lusso che possono permettersi solo le oligarchie accademiche e burocratiche in genere, i comuni cittadini imparano sin da piccoli a farne a meno.
Una domanda, caro direttore: perché?

Non riesco a immaginare a quale audience siano indirizzati questi reiterati pistolotti.
Stammi bene,

Teodoro Dalavecuras

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