Bisognerà attendere ancora qualche giorno per conoscere l’accordo complessivo sui dazi, dalla lista delle esenzioni a quella degli acquisti europei sul mercato americano. E così poter apprezzare il vantaggio implicito in un accordo definitivo in termini di stabilità e conseguenti assestamenti dei mercati finanziari e valutari.
Mentre continua la trattativa su dettagli che tali non sono, è utile aprire in parallelo la riflessione sulla politica industriale europea. Non sembra avere senso una logica di aiuti pubblici ai settori. Meglio pensare a interventi strutturali che alzino la competitività, dalla riduzione del costo dell’energia alla diffusione delle nuove tecnologie ancora poco penetrate nelle imprese. Per non parlare di un drastico aggiornamento degli strumenti regolatori. Dal green deal, ove gli obiettivi di decarbonizzazione si possono coniugare con tempi più ragionevoli e neutralità tecnologica. All’AI act che non può imbrigliare rigidamente l’intelligenza artificiale prima di averla sperimentata. Più utili uno stretto monitoraggio e strumenti flessibili come linee guida, soft laws, buone pratiche.
E poi ci sono i nuovi mercati nei quali si possono combinare i profili commerciali con quelli geopolitici. Dalla ratifica dell’accordo con il Mercosur alla intensificazione degli scambi con i Paesi Arabi moderati, al corridoio economico-logistico India, Medio Oriente, Europa, alla assunzione UE del Piano Mattei per l’Africa.
L’Europa non potrà oscillare come un vaso di coccio tra USA e Cina ma, pur confermando la sua vocazione occidentale, dovrà concorrere attivamente a un nuovo ordine multipolare. Le leadership si misurano in frangenti come questo per la solidità che dimostrano di fronte ai passaggi difficili. Nei quali si formano nuovi equilibri come la crescente sintonia tra Italia e Germania. Solo gli stolti usano le grandi transizioni della storia per la propaganda di giornata.