Caro direttore,
non devi essere troppo severo con Francesco Micheli (il tuo “francescano moralista”) quando insinua che il dio denaro, divinità maligna, ha “imbrigliato” gli amministratori locali nel totale ripiegamento della funzione politica seguito alla fine del Pci, lasciando quasi intendere che anche lo scandalo dell’urbanistica milanese che ruota – quanto meno oggettivamente – intorno alla Coima di Manfredi Catella, è un frutto avvelenato del crollo del Muro di Berlino. Capisco, direttore, può fare un certo effetto sentire il “decano della finanza” (“decano”, altra trovata di un copywriter geniale per designare l’uomo d’affari che si è trovato gomito a gomito con tipi come la leggendaria signora Bonomi Bolchini, con Attilio Monti, con Eugenio Cefis, con Mario Schimberni, con Roberto Calvi, con Raul Gardini, con Silvio Berlusconi), che ha fatto business col diavolo e con l’acqua santa, che parla del dio denaro come di una divinità maligna ma – credimi – almeno in questo il buon Micheli è sincero: ha sempre nutrito disprezzo per chi è vittima del culto del denaro perché lui, come tutti i veri finanzieri del resto, ne è sacerdote, e “fatalmente” il denaro gli rimane appiccicato, non ha nessun bisogno di cercarlo (o così raccontano, che è poi la stessa cosa).
Non dimenticare, direttore, due aspetti. Anzitutto Micheli non ha mai avuto bisogno di roba come i “reputation manager”, l’immagine se l’è costruita da solo con cura e perseveranza. Se tu facessi fare un sondaggio tra i giornalisti economici sentiresti parlare di un protagonista della scena culturale, dell’arte, di un uomo “di sinistra”. Perché lui per primo non ha mai annoiato i suoi interlocutori con la storia delle proprie gesta finanziarie, ma li ha divertiti raccontando a tavola storie di ogni genere. Così è diventato il finanziere “più amato dai giornalisti italiani” – per parafrasare un celebre claim. La seconda cosa da ricordare è che Micheli è – antropologicamente – cattolico, e da buon cattolico si attiene allo schema retorico (così ben descritto tanti anni fa da Italo Mereu) del sí ma. Quando il giornalista ardimentoso gli chiede: “Lei conosce l’ad di Coima Manfredi Catella. Che idea ha di lui?”, la risposta è un piccolo peana all’amico, socio di maggioranza, senza spreco di aggettivi però, ma contrapponendo il “far west dei vecchi palazzinari” (gli altri) alla gestione basata “sull’uso dei fondi immobiliari e la piena trasparenza” di Catella. Poi il giornalista gli fa notare che “i giudici” attribuiscono a Catella un ruolo centrale nella “incontrollata espansione edilizia” e Micheli risponde: “Rispetto per definizione il loro operato, ma resto basito. Non parlo di un’inchiesta aperta (…) Dico solo che fatico a ritrovare il Catella che conosco nelle condotte attribuitegli nelle carte”.
Poi c’è, per sommi capi, una “dottrina” che potrebbe mettere d’accordo se non tutti almeno una solida maggioranza, secondo la vocazione maggioritaria dei cattolici. Detto in estrema sintesi. C’erano una volta i buoni sindaci come Carlo Tognoli (su Tognoli mi trovo d’accordo, è la sacrosanta verità) poi è arrivata l’Expo, “razzo propulsore” della Milano “città che corre sulle ali dorate del denaro”, nel frattempo orfana del Pci. Senza dimenticare il consumismo, la digitalizzazione…
Tu potrai anche osservare, direttore, che le date sono un po’ confuse, ma raccontata con le parole del tuo francescano moralista è una storia che suona bene, e le storie di Micheli da sempre deliziano l’udito dei giornalisti. E se il “denaro divinità maligna” sulla bocca del “decano” della finanza fa un po’ ridere, pensa che anche Micheli è figlio del Novecento. Hai presente quella canzone che fa “il denaro ed il potere sono trappole mortali”? La cantava, nel 1966, Caterina Caselli, che fa quasi rima con Catella. É sempre la stessa musica.
Stammi bene.