La fornitura di sistemi di difesa aerea per l’Ucraina costituisce una urgentissima emergenza umanitaria per salvare la popolazione civile colpita ogni giorno dalla pioggia di missili, droni e bombe telecomandate lanciate dalle forze armate russe.
Per questo la difesa nei cieli non deve diventare (come viceversa sembra accadere in queste ore) un elemento di contrapposizione tra le diverse industrie nazionali dei paesi Nato e, di conseguenza, un grave fattore di divisione politica tra le nazioni che sostengono Kiev dopo l’invasione russa del 24 febbraio del 2022.
In questo preciso momento si tratta di capire se i sistemi europei di difesa aerea hanno prestazioni più o meno efficaci rispetto a quelli statunitensi e/o israeliani.
Salvare la vita della popolazione civile e difendere scuole e ospedali è la priorità; poi viene la provenienza geografica dei mezzi di difesa.
In linea puramente astratta (perché Pechino non tradirebbe certo Putin) pur di difendere la vita dei cittadini ucraini dai missili russi si potrebbero inviare anche gli H19 o H29 cinesi – qualora fosse dimostrata una loro maggiore efficacia rispetto ai Patriot statunitensi e/o ai Samp-t franco-italiani (meno noti al grande pubblico).
L’insufficienza della difesa aerea dell’Ucraina è davanti agli occhi di tutti se si pensa che solo negli ultimi venti mesi Israele ha neutralizzato più del 90% dei 55.000 missili e droni lanciati da Teheran, Hamas, Hezbollah, Houthi e milizie irachene e siriane.
Costruire il pilastro europeo della Nato è fondamentale, ma in questo momento la priorità è salvare la vita dei civili a rischio in Ucraina come peraltro quella di chi rischia di affogare nel Mediterraneo.