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Perché l’Europa è deboluccia con le lobby?

Cosa fanno e cosa non fanno le istituzioni europee con lobby e gruppi di pressione. Conversazione di Stefano Feltri con Alberto Alemanno, professore di diritto europeo alla HEC di Parigi, estratta dalla newsletter Appunti

Alberto Alemanno è un giurista, professore di diritto europeo alla HEC di Parigi e una delle voci più autorevoli nella discussione europea su lobbying e conflitti di interessi. È anche promotore dell’organizzazione non profit The Good Lobby.

Si registrano periodici scandali di corruzione o rapporti opachi con le lobby nelle istituzioni europee, ma poi sembrano esserci poche conseguenze. Cosa è cambiato, per esempio, dopo il Qatargate?

Il Qatargate ha rivelato la corruzione di alcuni parlamentari europei che avrebbero accettato somme di denaro per promuovere gli interessi di alcuni Stati terzi, come il Qatar e il Marocco.

Più in generale, ha mostrato come, se sulla carta il sistema di controlli etici europeo è uno dei più sviluppati al mondo—sicuramente il migliore all’interno dei paesi OCSE—il Parlamento europeo sembrerebbe esserne l’anello debole, e questo per tre ragioni principali.

Non è fatto divieto ai parlamentari di svolgere mansioni private; non hanno neppure l’obbligo di dichiarare i loro incontri durante il mandato; e fondamentalmente esiste un clima di impunità dovuto alla scarsa ottemperanza degli obblighi di monitoraggio, perché comunque i membri del Parlamento europeo, nonostante il fatto che possano incorrere in attività parallele a quelle di parlamentari, dovrebbero comunque riportarle.

Nonostante la volontà dichiarata di rimediare a tale lacuna, che in maniera bipartisan tutti i partiti hanno in qualche modo richiesto a seguito di questo Qatargate, le riforme adottate nella scorsa legislatura non hanno risolto alla radice nessuna di queste mancanze.

Ad oggi, secondo Transparency International, oltre un quarto dei parlamentari europei continua ad avere impegni professionali paralleli: alcuni sono medici, altri sono avvocati, altri ancora lobbisti, e molto spesso questo li porta a essere in una situazione di permanente conflitto di interessi, perlomeno in termini di percezione.

Se è vero che ad oggi esiste un obbligo di dichiarare gli incontri per i parlamentari europei, non esistono adeguati controlli e sanzioni tali da creare deterrenza rispetto a questi comportamenti.

La riforma più significativa a seguito del Qatargate sarebbe stata la creazione di un comitato etico indipendente—alla cui stesura dei lavori preliminari ho partecipato—ma questa in realtà non ha visto la luce del giorno.

Nonostante un accordo politico conclusosi nella primavera del 2024, il nuovo Parlamento non ha trovato un’intesa su come metterlo in piedi, come finanziarlo, con il Partito Popolare Europeo che si è trovato in una maggioranza con i gruppi parlamentari alla sua destra per, in qualche modo, boicottare il suo finanziamento.

Quali sono le forze che condizionano maggiormente il processo decisionale a livello europeo? Sono le aziende? Gli Stati membri? E cosa si può fare per limitare queste distorsioni?

Per quanto riguarda l’ecosistema dei gruppi di interesse, mentre gli scandali di corruzione del Marocco e del Qatargate hanno puntato i riflettori sul ruolo dei paesi terzi nel plasmare le politiche dell’Unione Europea, il vero elefante nella stanza è il lobbismo aziendale.

L’anno scorso The Economist riferiva che più di 25.000 lobbisti, con un budget annuale complessivo di oltre 3 miliardi di euro, cercano di influenzare la politica dell’Unione europea, facendo dunque impallidire le somme sequestrate dalla polizia belga nello scandalo del Qatargate.

Ovviamente non si tratta della stessa cosa: è importante distinguere il fenomeno del lobbying, come un’attività legittima che porta i vari portatori di interessi a influenzare il processo decisionale secondo metodi che sono legittimi, legali e trasparenti, e il fenomeno della corruzione, in cui il decisore—quindi l’oggetto del lobbying—si fa pagare per essere all’ascolto di questi portatori di interessi.

Detto questo, osserviamo come ogni ciclo politico europeo veda una maggiore presenza e dunque un maggior investimento di risorse per influenzare i processi decisionali.

Ci sono stati casi eclatanti di lobby piuttosto losche che hanno coinvolto le big tech, i combustibili fossili, le piattaforme digitali, che illustrano l’implacabile lobby aziendale contro le istituzioni dell’Unione europea, rispetto alle quali, nonostante vi siano delle regole appunto di reporting—come per esempio il registro della trasparenza—non si ha sufficientemente la capacità di catturare le molteplici forme di influenza.

Il lobbying, in realtà, è la punta di un iceberg: sono gli incontri che avvengono tra i decisori e i portatori di interessi, ma tutto questo non è necessariamente coperto dal registro trasparenza, quando si guarda al ruolo che svolgono le differenti organizzazioni di categoria, che spesso sfuggono alla registrazione o le cui dichiarazioni non sono, diciamo così, dettagliate come dovrebbero essere.

Ci sono poi altre forme di influenza che possono essere portate avanti da think tank, da cattedre accademiche. Oggi lo stesso sistema informativo svolge un ruolo di influenza rispetto a determinati processi decisionali.

Come limitare queste distorsioni? La trasparenza è sicuramente il miglior disinfettante, ma questo non basta: non bastano obblighi di disclosure per offrire al pubblico una cartografia esatta di chi influenza quale dossier, per conto di quali interessi e sulla base di quali finanziamenti.

Occorre immaginare un sistema in cui non soltanto chi è già capace di influenzare sia soggetto a queste regole, ma anche un sistema che permetta a tutti gli interessi, anche quelli diffusi, di avere un’eguale voce in capitolo.

Quindi, si deve passare da una visione negativa del lobbying in cui si spinge a fare meno lobbying. Si riconosce il lobbying come attività legittima, e per questo si ridistribuiscono le risorse in modo tale che una maggiore rappresentatività dei vari interessi intorno al tavolo possa controbilanciare forme di lobbying che appaiono indebite poiché eccessive.

 

(Estratto da Appunti)

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