C’è solo l’imbarazzo della scelta fra le notizie su cui piangere o ridere di più, indifferentemente, secondo gli umori di chi legge, o ascolta. La notizia, per esempio, del governo non riconosciuto del generale Haftar in Cirenaica che cerca il riconoscimento, appunto, espellendo come ospiti non graditi tre ministri dell’Interno, fra i quali l’italiano Matteo Piantedosi, e un commissario europeo sbarcati a Bengasi dopo essere stati a Tripoli? Dove c’è un governo più riconosciuto, o meno controverso, della Libia.
La notizia dell’ormai immancabile presidente americano Donald Trump che è riuscito a sdoganar anche la parolaccia “stronzate”, attribuite a Putin, dopo essersi vantato di avere il “culo” più baciato del mondo da estimatori fanatici, o da pavidi desiderosi di sottrarsi alle sue imprevedibilità?
La notizia, sempre in questo ambito della Casa Bianca, del premier israeliano che gli ha consegnato una copia della lettera spedita ad Oslo per candidarlo al premio Nobel della pace? Che tuttavia sarebbe quella mancata perché le guerre che il presidente americano si era proposto o aveva promesso di far cessare continuano tra combattimenti, bombardamenti, stragi, tregue incerte e via discorrendo, compresa quella seguita in Iran ai bombardamenti israeliani e americani congiunti sugli impianti nucleari e dintorni di quel paese.
Stefano Rolli, il vignettista del Secolo XIX, è stato il più sarcastico commentando a suo modo la candidatura di Trump al premio Nobel – ripeto, della pace – accoppiata a quella del capo supremo ayatollah dell’Iran al premio Nobel della fisica. Quella atomica.
E che dire del nostro Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio, segretario di Forza Italia e candidato in alcuni retroscena giornalistici al Quirinale, pur mancando ancora quattro anni alla scadenza del secondo mandato di Sergio Mattarella? Egli si è autodefinito in una circostanza pubblica, non privata, “il ministro degli Esteri più sfigato” d’Italia, e forse anche del mondo, per i dispetti che riceve ogni giorno, e notte, dalle cronache internazionali e domestiche. Non più tardi di ieri mi ero permesso di… ricamare sul silenzio, da lui stesso notato, di Marina Berlusconi sulla riforma della cittadinanza nota come ius scholae. Sulla quale ci sono volenterosi in attesa di convergenze inedite tra il partito fondato da Silvio Berlusconi e il Pd della segretaria Elly Schlein, su cui costruire la scomposizione dello schieramento più o meno bipolare attribuito alla politica italiana, alle spalle della premier Giorgia Meloni.
E che dire, infine, dell’ex premier Giuseppe Conte, che ieri sera, ospite di Luca Telese e Marianna Aprile nello spazio televisivo de la 7 stagionalmente ereditato da Lilli Gruber, che ha cercato di convincere di non avere nulla, proprio nulla da opporre, se non qualche problema procedurale, diciamo così, alla candidatura della segretaria del Nazareno a Palazzo Chigi alla testa di quell’Araba Fenice dell’alternativa al centrodestra?