Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni stanno sempre insieme perché – come si dice dei carabinieri – uno sa leggere e l’altro scrivere. Poiché entrambi sanno parlare, succede che in tv vengono invitati uno alla volta.
Nei giorni scorsi, a In Onda, la succursale estiva di Otto e mezzo, Nicola Tesla Fratoianni ha avuto modo di esibirsi in una lezione di diritto internazionale per contestare la politica europea di riarmo ed invocare, nel caso dell’Ucraina, una più robusta iniziativa diplomatica per consentire un negoziato che conduca alla pace. Particolarmente severo Fratoianni è stato nei confronti del cancelliere tedesco e delle sue intenzioni di acquistare armi dagli Usa per consegnarle all’Ucraina (in quelle stesse ore i putiniani erano in grande spolvero perché Trump aveva appena annunciato la sospensione delle forniture militari a Kiev, ricevendo gli apprezzamenti del Cremlino).
A poca distanza di quelle affermazioni interveniva di persona lo zar per dichiarare che la Russia non avrebbe mai rinunciato alle sue conquiste (sic!) e che non era ancora venuto il tempo in cui diplomazia poteva sostituire il lavoro delle armi. Intanto corre voce che la Corea del Nord stia per inviare altri 30mila soldati in appoggio all’esercito russo, ma se qualcuno si azzarda in Europa ad accennare alla presenza di truppe in Ucraina (neppure i “volenterosi” coltivano più queste ipotesi) viene sottoposto al biasimo generale come uno sporco guerrafondaio.
La storia la conosciamo ed è inutile parlarne ancora. A me però rimane una curiosità: che cosa si dovrebbe fare per attuare una iniziativa diplomatica europea più decisa? Credo che i sostenitori di questa tesi non pensino a maggiori sanzioni, perché a loro avviso, si tratterebbe di misure ostili e dannose per chi le promuove più che per chi le subisce. Conte vorrebbe tornare ad acquistare il gas russo per alleggerire le bollette.
Rimane allora il mistero. Forse occorrerebbe tempestare il Cremlino di telefonate? Oppure andare di notte a suonare ai citofoni delle ambasciate russe in giro per il mondo? Magari potrebbe essere utile ordinare al personale delle ambasciate europee a Mosca di organizzare sit in davanti al Mausoleo di Lenin? O forse organizzare catene di sant’Antonio allo scopo di far pervenire al Cremlino centinaia di cartoline invocanti la pace che ne intasino il già fatiscente servizio postale?
Tutte ipocrisie. L’unica diplomazia che può smuovere Putin è quella delle armi. Se non venissero dal Pentagono (prima o poi succederà) occorrerebbe provvedere altrimenti.
Un’altra pantomima è quella in cui si esibisce negli ultimi giorni Elly Schlein man mano che l’Europa arriva con le spalle al muro sul tema dei dazi. Secondo la segretaria dem il governo italiano è asservito agli Usa perché sarebbe disposto ad accontentarsi di una tangente del 10% sulle esportazioni europee. Meloni – stigmatizza la giovane caudilla insieme al resto della sinistra – sottovaluta gli effetti negativi che questo livello di dazi avrebbe sull’economia e l’occupazione, e si adegua ai voleri del bullo della Casa Bianca.
Anche in questo caso, quale sarebbe l’alternativa? Come sottrarsi al ricatto Usa e indurre Trump a fare marcia indietro e con quali misure? Hanno sentito a Largo del Nazareno le parole del presidente Mattarella che nel messaggio del 4 luglio ha definito gli Usa un alleato “irrinunciabile”? Ci fu un tempo in cui i sovranpopulisti promettevano di andare a Bruxelles per battere i pugni sul tavolo e mandare a quel paese Angela Merkel e la sua politica di austerità. Fino a quando tutti si accorsero che nessuno si prendeva paura delle nostre intemerate.
Schlein suggerisce una sorta di guerra dell’oppio per imporre con le armi una diversa politica commerciale agli Usa? O di rivedere il film L’ora di Napoli per seguire gli insegnamenti del grande Eduardo per eseguire un sonoro “pernacchio napoletano”, in occasione del prossimo G7, all’ingresso di Trump in sala?
Fino ad ora ci siamo misurati con rivendicazioni che somigliano a ululati alla Luna, a ruggiti del topo, ad inviti a fare la faccia feroce come si comandava nell’esercito di Franceschiello per intimare l’attenti. Questa sinistra è capace soltanto di dissimulare una condizione di impotenza con la parlantina dei suoi leader.
Per concludere passiamo al Medio Oriente. Io non sopporto più di vivere in un Paese dove gran parte dei media si comportano da “velinari” di Hamas, trasmettendo come oro colato e senza verifiche le notizie e i dati forniti da terroristi, capaci persino di ricattare sulla consegna dei cadaveri.
Prendiamo, per ultimo, il caso della proposta di tregua di 60 giorni avanzata da Trump. Quando si verificano siffatte iniziative, ai due contendenti si chiede di accettare o di respingere la proposta. Israele ha risposto affermativamente, mentre Hamas ha rilanciato con la richiesta di condizioni inaccettabili. I media, però, hanno colto la palla al balzo attribuendo ad Israele la responsabilità di rifiutare la tregua, come se le pretese di Hamas meritassero un esito scontato.
Per quanto mi riguarda sono convinto che verrà un giorno in cui nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’IDF si userà quel magico gioco di parole con cui Winston Churchill volle elogiare la RAF dopo la vittoria nella Battaglia d’Inghilterra: “Mai, nel campo dei conflitti umani, così tanti dovettero così tanto a così pochi”.
L’azione di Israele dopo il 7 ottobre ha contribuito alla prospettiva di un contesto migliore nel delicato scenario del Medio Oriente. Mettiamo le cose in fila. In Siria è stato cacciato Assad, il massacratore del suo popolo, risparmiato da Obama e protetto da Putin. In Libano la sconfitta di Hezbollah ha restituito alle legittime autorità di quel Paese una sovranità di cui erano state private da decenni. Gli Houti hanno imparato che le loro iniziative non resteranno impunite. Poi Israele ha giocato d’anticipo attaccando l’Iran, il grande regista della destabilizzazione di quell’area, mettendo in difficoltà un regime di assassini. Tutto ciò in un scenario nel quale non è andato a gambe all’aria (come era nelle intenzioni di Hamas) il processo di normalizzazione tra Israele e gli stati arabi avviato con gli accordi di Abramo, che tanto contribuisce alla modernizzazione di quei Paesi.
Mi azzardo a spingermi oltre: Israele combatte anche per i palestinesi della Striscia, per la loro liberazione da una setta fanatica al soldo degli ayatollah che li ha derubati per decenni delle ingenti risorse provenienti dalla solidarietà internazionale al solo scopo di combattere Israele. E che ha lucidamente costruito le condizioni del loro massacro con l’obiettivo dichiarato di mostrificare Israele agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, riuscendo a far venire in superficie il fiume carsico dell’antisemitismo. Per farla breve, i tedeschi nella Seconda Guerra mondiale furono liberati dal nazismo anche grazie alle bombe anglo-americane che rasero al suolo le più importanti città della Germania. I palestinesi hanno cominciato a rendersi conto di chi sia il nemico vero, ma della repressione del dissenso effettuata da Hamas nessuno si cura. Dobbiamo tutti imparare a considerare l’IDF come un esercito di liberazione; dei palestinesi innanzitutto.