Intervenuto, sabato scorso, ai Rencontres économiques (“Incontri economici”) di Aix-en-Provence, in Francia, l’ex-presidente del Consiglio ed ex-presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha espresso la sua opinione sull’operato della Commissione europea di Ursula von der Leyen e più in generale sullo stato dell’Unione.
PROGRESSI POCHI, TEMPI LUNGHI
Riferendosi all’attuazione del suo rapporto sulla competitività, che ha presentato quasi un anno fa e che aveva redatto proprio su commissione della Commissione, Draghi ha riconosciuto che sono stati fatti dei passi in avanti sulla semplificazione, in particolare per quanto riguarda gli obblighi di rendicontazione per le imprese. “Non ci sono stati molti progressi”, invece, sull’intelligenza artificiale.
Secondo l’ex-presidente della Bce, “il problema principale” della Commissione è “la velocità di intervento. Il tempo medio di un atto della Commissione è di circa due anni e la messa in opera è circa cinque anni”: un tempo forse incompatibile con i ritmi degli Stati Uniti di Donald Trump.
DRAGHI CRITICA LA POLITICA ENERGETICA E IL QUADRO SUGLI AIUTI DI STATO
“Molto poco è stato fatto nel settore dell’energia”, ha aggiunto Draghi, riferendosi agli alti prezzi energetici nell’Unione europea che penalizzano la competitività dei settori energivori (come la siderurgia e la chimica) e disincentivano gli investimenti nella decarbonizzazione.
Draghi ha criticato anche il nuovo quadro sugli aiuti di stato definito dalla Commissione perché privilegia i sussidi nazionali invece che gli aiuti ai progetti di interesse comune europeo: “bisogna usare gli aiuti di stato in modo diverso”, ha detto. A questo proposito, in Germania il governo sta lavorando a un piano di sussidi all’industria da 4 miliardi di euro, presentandolo come benefico per l’intera economia europea e non solo per quella tedesca.
DRAGHI: SERVE LEADERSHIP PER CAMBIARE L’EUROPA
Secondo Draghi, “serve leadership” per modificare il modello decisionale dell’Unione europea, che considera “difettoso”: a suo dire – come riportato dal quotidiano francese La Tribune -, se raggiungere l’unanimità tra i paesi membri non è possibile per via dei tanti interessi nazionali contrapposti, bisognerebbe passare a un modello di “coalizione”.
DAZI ED ESPORTAZIONI
Facendo riferimento ai negoziati commerciali con gli Stati Uniti e alla minaccia dei dazi, Draghi ha voluto sottolineare che “le esportazioni non saranno il rifugio definitivo” per l’economia europea e che l’Unione dovrebbe quindi lavorare maggiormente alla crescita del suo mercato interno. Ci sarà bisogno di investimenti, di debito comune e di stimolare la crescita di campioni industriali capaci di rivaleggiare le grandi società americane e cinesi: “non dobbiamo impedire le politiche di scala quando portano all’innovazione”, ha spiegato.
Sì all’innovazione, quindi, ma questa dovrebbe sempre – secondo Draghi – procedere di pari passo con le tutele sociali.