Ogni guerra sorprende, ma non dovrebbe.
Come la difesa terrestre intende affrontare le nuove minacce, e come queste impattano la forza armata e come risponde il comparto industriale, di tutto questo se n’è parlato il 3 luglio presso Palazzo Esercito alla conferenza dal titolo “L’evoluzione dei requisiti nel settore della difesa terrestre”, organizzata del Centro Studi Internazionali (CeSI) presieduto da Andrea Margelletti, in collaborazione con Mbda. Quest’ultimo è il gruppo missilistico europeo joint-venture di Airbus (37,5%), Bae Systems (37,5%) e Leonardo (25%).
Con l’occasione, è stato presentato l’omonimo Concept Paper, realizzato congiuntamente da CeSI e Mbda, delineandone i principali risultati in termini di requisiti operativi e tecnici, nonché di supporto all’ecosistema sperimentale-produttivo della difesa.
Nel contesto attuale di instabilità e conflitti, le forze armate devono evolversi rapidamente, superando la tendenza storica a prepararsi sulla base dell’ultimo conflitto. La guerra in Ucraina ha mostrato tre dimensioni interconnesse: convenzionale, tecnologica e cognitiva. Quest’ultima, legata alla manipolazione delle menti, è una minaccia continua anche lontano dal campo di battaglia.
I droni hanno rivoluzionato la guerra, ampliando il campo d’azione e modificando le responsabilità tra le forze armate. Prepararsi a un conflitto dominato dai droni non significa accumulare mezzi, ma investire in competenze e soluzioni flessibili. L’etica resta centrale: la Difesa non delegherà mai decisioni letali a un algoritmo, ma non tutti gli avversari faranno lo stesso, come ha spiegato nel suo intervento il generale Carmine Masiello, capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
L’industria della difesa deve uscire dalla logica delle gare e lavorare a stretto contatto con le forze armate, come già avviene in Ucraina. Il soldato moderno è un operatore tecnologico: resta il fulcro del sistema, ma potenziato dalla tecnologia.
Tutti i dettagli.
LA SFIDA PER IL SISTEMA PAESE…
“L’evoluzione non è termine scelto a caso rispetto alla rivoluzione e alla trasformazione. Poiché la rivoluzione prevede una cesura storica e qui non c’è, e la trasformazione delinea un punto di arrivo, mentre questo è un cambiamento in divenire” ha illustrato Emmanuele Panero, Responsabile del Desk Difesa e Sicurezza del CeSI.
Ribadendo quanto indicato dal generale Masiello, “La prima sfida è capire dove stiamo andando, in un’epoca di competizione strategica multi-spettrale e multi-livello e in cui c’è instabilità e insicurezza senza precedenti e in continua trasformazione. Quindi la sfida è quella di essere al passo con questa continua trasformazione; uno dei motivi principali per cui la deterrenza è un termine di nuovo attuale per la nostra difesa. Quindi serve una sinergia istituzionale e industriale che sia in grado di portare continue innovazioni sul campo di battaglia.”
…E QUELLE SPECIFICHE PER LA DIFESA TERRESTRE
In particolare, prosegue l’analista Panero, “Nella componente terreste e nel continuum of competition l’obiettivo finale è quello di arrivare sul campo di battaglia e quindi negli scenari operativi, che passano progressivamente dalla sincronizzazione degli effetti alla ridondanza di questi effetti. Pertanto, è centrale che componente la terrestre abbia tattiche multi-dominio, avere la profondità di colpire non più quei 150km perché ad oggi potrebbe essere 10 volte maggiore, è fondamentale essere continuamente mobili, adattivi.”
LE CARATTERISTICHE DEL NUOVO CAMPO DI BATTAGLIA
Dopodiché, Panero descrive “il nuovo campo di battaglia che ha tre caratteristiche fondamentali: è trasparente (anche se non comprensibile), estremamente veloce e letale e questo richiede una trasformazione della valutazione nelle forze per andare a colpire gli avversari.”
LA TRAPPOLA DELLE “LESSON LEARNED”
Alla luce di ciò, “bisogna però provare a non cadere nella trappola delle lessons learned da individuare ma che non necessariamente sono da apprendere e l’esempio attuale sono proprio i droni” mette in guardia l’analista del CeSI.
“Nei primi due anni e mezzo di conflitto Russia Ucraina il 70% dei veicoli corazzati colpiti dalla prima volta solo dai droni – spiega Panero – ad oggi su 100 missioni compiute dai droni FPV solo il 30-40% riesce ad arrivare al bersaglio e solo il 10% colpisce effettivamente per la prima volta i bersagli.”
LA TIPOLOGIA DI ASSET IMPIEGATI
Ma quali sistemi e assetti si trovano ad affrontare le forze armate sul campo di battagli?
“Ad oggi non vediamo tramontare i prodotti tradizionali/classici dell’industria militare” illustra Stefania Sperandei, Senior System Engineer e Proximity Director di Mbda. “Tuttavia, da una parte abbiamo l’estremizzazione della minaccia con prodotti ipersonici e, dall’altra, l’impiego di armi UAV di saturazione, che fanno sì che la difesa sia combinata in modo sempre più efficace.”
“La prima è la difesa aerea, che deve estendersi per andare a contrastare la minaccia ipersonica, spesso utilizzata con armi di massa, quindi il Counter UAV” prosegue l’ingegnere di Mbda: “Qui vediamo proprio l’importanza dei Manpads, cioè assetti operati da singoli operatori, efficaci contro piattaforme come gli elicotteri, che consentono una grande dispersione nei campi di battaglia e un’efficacia molto importante anche contro queste piattaforme.”
“Quindi, accanto agli assetti Manpad e Shorad (difesa aerea a corto raggio), c’è anche tutto il mondo delle G-weapons (capacità di contrastare minacce saturanti con armi a energia diretta), come i sistemi laser e i sistemi ad energia diretta” evidenzia ancora Sperandei.
ARCHITETTURA MULTI STRATO E MULTI DOMINIO PER LA DIFESA AEREA
10 minuti e 38 secondi. Il tempo che impiegherebbe un missile ipersonico da Mosca a Roma.
È la stima di Angelo Pansini, dirigente di Mbda, che spiega che nella guerra tecnologica, “l’unica modalità per intercettare un missile ipersonico e uno sciame di droni è quello di basarsi su un’architettura multi sistemi e multi dominio (dallo spazio, navale e terrestre con sistemi terrestri che seguono l’ingaggio finale)”.
“C’è il tema della saturazione della difesa aerea, motivo per cui qualche bersaglio sfugge” aggiunge Pansini. “Occorrono sistemi di sistemi multi dominio, ma cosa li rende possibile? “È la digitalizzazione che ha rotto le barriere esistenti tra i sistemi e tra i sottosistemi, rendendo disponibile il collante digitale che consente l’interazione tra loro. E ha consentito effettivamente di utilizzare strumenti multi dominio, questa è stata la grande rivoluzione tecnologica” evidenzia il manager di Pansini.
LA DOTAZIONE PER L’ESERCITO
Come esempio di difesa multi strato, Pansini ricorda che Mbda sta dotando l’esercito di tre sistemi che coprono dal cortissimo al lungo raggio: Fulgur ( completerà l’offerta di Mbda nel segmento Vshorad), Grifo (sistema di difesa aerea di nuova generazione, parte della famiglia Emads (sigla di “Enhanced Modular Air Defence Solutions”) basato sul missile Camm-Er) e Samp-t. Questo è un esempio di difesa multi strato, sottolinea il dirigente di Mbda.
L’OBIETTIVO DELL’INDUSTRIA
Per l’ingegner Sperandei “l’obiettivo principale è trovare un concreto compromesso tra il costo dell’effettore necessario a contrastare una minaccia e l’effettiva pericolosità della minaccia stessa”.
Pertanto, “I costi della risposta devono essere contenuti rispetto all’efficacia della minaccia in arrivo, in particolare nel caso di missili anti-saturazione, con costi della risposta non eccessivi e calcolati. “Dobbiamo avviare una procedura di domanda e controllo: studiare la prima linea, evitare l’overkill, organizzare la difesa aerea e adeguare la risposta missilistica e la risposta generale alla minaccia, con il coordinamento di tutti gli assetti” conclude la Senior System Engineer e Proximity Director di Mbda.
LA RISPOSTA DI MBDA ALLA SFIDA PRODUTTIVA
Dopodiché, interviene Lorenzo Mariani, Managing Director Mbda Italia e Mbda Executive Group Director Sales & Business Development, ricordando che “l’Italia è un paese che ha ordinato navi, mezi (pochi) e sui missili pochi. Sugli sviluppi spesso i tempi sono incomprimbili”, ma Mbda si è attrezzata “per produrre più velocemente, siamo già in piena accelerazione con la skill up, e ora siamo nel pieno del ramp up della produzione che è in corso e richiede uno sforzo importante sia da parte dell’industria sia da chi riceve questi sistemi e chi decide i finanziamenti”.
“Il nostro paese ha preso degli impegni verso la Nato e ci aspettiamo che il paese li trasferisca all’industria con un sostegno per garantire lo sforzo produttivo” evidenzia il numero uno di Mbda Italia. Occorre un “nuovo patto tra industria e stato per dare garanzia nel tempo”.
PROBLEMA DI PERCEZIONE DELLA MINACCIA
Infine, secondo il presidente del CeSI, Andrea Margelletti, nel nostro paese c’è un “problema di percezione della minaccia, che influisce sulla sensibilità politica e sul menu che le aziende propongono. Non è sempre colpa delle aziende quando critichiamo”. “In altri stati esiste un budget coperto che copre le cose future, e questo permette alle aziende di avviare insieme alle forze armate dei prodotti che non necessariamente vedranno la luce del sole, ma che comunque permettono di sviluppare idee e visioni” sostiene Margelletti.
Ma “Questo in Italia non succede perché la nostra industria nazionale è tendenzialmente un po’ sopita” chiarisce il presidente del CeSI, insistendo che “Se si fa solo quello che ti chiedono non è detto che si fa quello di cui c’è bisogno.”
“Noi oggi non abbiamo più quello che abbiamo avuto in passato: il valore del tempo. Noi viviamo di fronte a missioni, operazioni e guerre, le studiamo, valutiamo i loro effetti e poi impariamo da quelle. Non abbiamo tempo. La velocità è diventata folle” ribadisce Margelletti.
Per il presidente del Centro Studi Internazionali “Ci sarà una guerra europea entro tre anni e noi non saremo in grado, per eccesso di capitalismo, di cambiare la mentalità, perché siamo abituati a dare quello che ci chiedono.” Pertanto, conclude Margelletti, “Dobbiamo assumere un approccio diverso perché vediamo che la guerra non è più solo mera possibilità, perché potrebbe coinvolgere il nostro Paese in un domani vicinissimo, altrimenti il rischio è fallire.”