Il congresso dell’Spd si è chiuso con un segnale inequivocabile di crisi interna: il presidente Lars Klingbeil (nella foto) è stato riconfermato alla guida del partito, ma con un risultato che ha lasciato attoniti persino i suoi oppositori. Solo il 64,9% dei delegati ha votato a favore della sua rielezione, una percentuale che, pur garantendo la continuità formale della leadership, ne sancisce la debolezza politica. Un colpo eloquente, che ha messo in luce le fratture profonde all’interno della socialdemocrazia tedesca. Mentre la sala del congresso applaudiva calorosamente le figure della vecchia guardia, sullo sfondo campeggiava lo slogan “Il cambiamento inizia con noi”, in una contraddizione che riflette perfettamente lo smarrimento di quello che è stato uno dei pilastri della democrazia tedesca postbellica.
SPD, UN PARTITO DIVISO TRA NOSTALGIA E MANCANZA DI VISIONE
Le giornate del congresso sono state attraversate da un senso diffuso di incertezza e disorientamento. Nessuno ha osato criticare apertamente Klingbeil, molti hanno scelto di punirlo nel segreto dell’urna. Le motivazioni restano ambigue, non articolate in una proposta politica alternativa, ma piuttosto sospese tra frustrazione e disagio. Il risultato del voto segreto ha colpito Klingbeil non solo in quanto leader dell’Spd, ma anche nel suo ruolo di vicecancelliere, sintomo di una crisi di leadership più ampia.
In mancanza di una visione chiara, il partito ha mostrato una tendenza a rifugiarsi nel passato. L’applauso più caloroso è stato riservato a esponenti storici come Olaf Scholz, Saskia Esken e Hubertus Heil, quasi che il rimando nostalgico potesse colmare l’assenza di idee per il futuro. un rimpianto tanto inconsistente in quanto legato (almeno per Scholz e Esken) a figure che non resteranno nella memoria gloriosa del partito. Intanto, retorica e frasi altisonanti profuse come slogan del congresso, hanno sottolineato piuttosto l’impotenza di una dirigenza priva di risposte concrete ai problemi del presente.
IL RISCHIO DEL SOPRAVVENTO DELLA SINISTRA IDEOLOGICA
Il congresso ha evidenziato anche una svolta netta verso una sinistra più ideologica. Gli interventi che hanno ricevuto più consensi sono stati quelli carichi di riferimenti identitari: la celebrazione della legge sull’autodeterminazione (la semplificazione del cambio di genere e nome) da parte di Scholz, gli attacchi alla “ridistribuzione dall’alto” della nuova co-presidente Bärbel Bas o le invettive anti-mercato dei giovani socialisti.
Questa svolta sottolineata dagli applausi dei delegati ha marginalizzato l’approccio pragmatico e riformista di Klingbeil, che pure aveva ottenuto risultati significativi nei negoziati di coalizione con Cdu e Csu, riuscendo a mantenere una solida presenza ministeriale e imponendo diversi contenuti socialdemocratici nell’agenda del governo, nonostante il modesto 16% delle urne. Ma il partito sembra punirlo per questo realismo, preferendo un ritorno ai vecchi miti della sinistra.
IL NODO AfD E LE TENSIONI SULLA POLITICA ESTERA
Uno dei punti più controversi del congresso è stato il rapporto con AfD. I socialdemocratici hanno deciso di sostenere formalmente una procedura di messa al bando del partito di destra radicale, una mossa simbolica ma anche rischiosa. Klingbeil, che in passato aveva espresso riserve sull’opportunità di un simile passo, si è ora allineato alla maggioranza del partito, forse nel tentativo di recuperare consenso interno. Ma questo tipo di strategie, fatte per vellicare emozioni interne più che per ottenere improbabili risultati concreti, rischiano di compattare gli avversari, in questo caso AfD, alimentandone la narrativa vittimistica. Sarebbe stato forse più opportuno che il congresso analizzasse perché 700.000 elettori dell’Spd hanno deciso nelle ultime elezioni di voltare le spalle alla socialdemocrazia e affidare le loro speranze proprio ad AfD.
Anche la politica estera ha generato tensioni. La base del partito si è mostrata critica verso la linea atlantista della leadership, in particolare per l’adesione all’obiettivo Nato del 5% di spesa per la difesa. La mozione contraria è stata infine respinta, e la Juso – l’organizzazione giovanile del partito – ha ritirato la sua opposizione al piano del ministro Pistorius sul servizio militare obbligatorio. Tuttavia, queste dinamiche evidenziano una crescente distanza tra il gruppo dirigente e la militanza, specialmente su temi legati alla sicurezza e alla Russia.
EX PARTITO DI MASSA ALLA RICERCA DI UN POPOLO
La crisi dell’Spd non è dunque solo una questione di leadership, ma riguarda il rapporto con il proprio elettorato storico. I socialdemocratici continuano a perdere consensi verso l’Unione conservatrice e AfD, mentre trascurano le preoccupazioni quotidiane dei lavoratori tradizionali. Al congresso si è discusso di salario minimo, ma senza una visione più ampia su cosa significhi oggi il lavoro di fronte ai cambiamenti epocali in corso. Nessun confronto serio sugli effetti dell’intelligenza artificiale, sull’immigrazione, sulla sicurezza urbana. Temi ritenuti tabù, ma che alimentano le ansie reali di milioni di elettori.
L’idea che basterebbe “comunicare meglio” le proprie politiche, magari con un linguaggio più semplice per chi ha un livello d’istruzione più basso, sfiora il paternalismo. Un atteggiamento che, invece di recuperare fiducia, rischia di alienare ulteriormente la base sociale storica del partito.
Ora la sfida per Lars Klingbeil è duplice: ristabilire la propria autorevolezza all’interno di un partito diviso e, contemporaneamente, evitare che la deriva a sinistra comprometta la stabilità della coalizione di governo. Se non riuscirà a riportare l’Spd verso una linea equilibrata e concretamente riformista, la parabola discendente del partito rischia di accelerare. E con essa anche quella dell’esecutivo, esposto a un’opposizione agguerrita che si insinua anche nel suo interno.