Il settore del lusso rappresenta un comparto globale in costante espansione, con un ritmo di crescita circa il doppio rispetto al prodotto interno lordo mondiale. Si tratta di un settore ciclico, influenzato da vari fattori quali il senso di benessere e di ricchezza, spesso definito come “feel good”, ma anche dal turismo: quando si viaggia, infatti, la propensione al consumo tende ad aumentare. In generale, la salute finanziaria dei consumatori, determinata da indicatori quali il tasso di disoccupazione, la percezione di ricchezza derivante dal settore immobiliare o dall’andamento positivo dei mercati finanziari, gioca un ruolo fondamentale nel determinare la domanda di beni di lusso.
Le principali aziende del settore del lusso sono nate in Europa, ma nel corso del tempo si sono progressivamente espanse a livello globale. Attualmente, solo il 30% delle vendite avviene nel Vecchio Continente, mentre circa il 30% si realizza negli Stati Uniti e un altro 30% in Asia, con la Cina e il Giappone che rappresentano i mercati principali di questa regione. Il restante 10% delle vendite proviene dal resto del mondo.
In ciascuno di questi mercati esiste una componente locale ed una legata al turismo, con una proporzione che varia da Paese a Paese. Il mercato più maturo, dove il consumatore è generalmente più sofisticato e le aziende del settore del lusso riflettono meglio il loro DNA, è sicuramente quello europeo, con Italia e Francia che sono tra i paesi più esposti ai flussi turistici.
Paradossalmente, il mercato americano è stato a lungo considerato come emergente, nonostante la sua vasta estensione territoriale. Questo perché, fino a tempi recenti, i negozi delle principali società del lusso erano concentrati principalmente in alcune città della costa Est, come New York, e della costa Ovest, lasciando in gran parte inesplorato il centro degli Stati Uniti.
È stato solo con la scoperta del petrolio estratto dalle rocce di scisto che alcune aree, come il Texas, hanno iniziato a vedere le prime grandi aperture di negozi di lusso. In seguito, l’avvento dell’e-commerce ha ulteriormente ampliato le opportunità, consentendo di raggiungere zone inizialmente meno redditizie, sviluppando nuovi mercati.
Il vero boom del mercato del lusso negli Stati Uniti è avvenuto subito dopo la pandemia di Covid-19, quando i consumatori hanno beneficiato di significative disponibilità finanziarie grazie ai sussidi erogati dall’amministrazione americana. Questi fondi si sono tradotti in un aumento delle spese per beni di lusso, aprendo le porte a un nuovo segmento di consumatori più giovane e acerbo. Le categorie che hanno beneficiato maggiormente di questa crescita sono state sicuramente la pelletteria e l’abbigliamento, dove i prezzi sono aumentati in modo consistente. Questo incremento ha contribuito a ridurre il divario di prezzo tra i beni di “soft luxury”, come le borse, e quelli di “hard luxury”, come i gioielli.
Dopo anni di crescita eccezionale, negli Stati Uniti stiamo assistendo a una fase di normalizzazione iniziata lo scorso anno. Questa tendenza si rifletterà anche nel settore del turismo in Europa, poiché, con un dollaro meno forte e un contesto geopolitico incerto, gli americani potrebbero ridurre i propri viaggi all’estero rispetto alla scorsa estate, spendendo quindi di meno.
Quando le vendite comparabili (ovvero a perimetro costante) registrano basi di confronto elevate, risulta sempre più difficile per le aziende del settore del lusso adattare il loro mix di prodotti, prezzi e costi al fine di continuare a sorprendere positivamente i mercati. Questa, quindi, è la fase che richiede un monitoraggio particolarmente attento, almeno per il consumatore americano.
La Cina, invece, è stata un motore di crescita costante sin dall’ingresso nel WTO, attraversando un periodo di forte accelerazione fino al 2011-2012, durante il quale il Partito Comunista ha avviato una campagna anticorruzione che ha imposto restrizioni e riduzioni agli eccessi. Il consumatore cinese, particolarmente abile nel fare affari, ha inizialmente speso molto in beni di lusso sfruttando i differenziali di prezzo tra Europa, USA e Giappone, dovuti sia alle tasse sia alle variazioni valutarie. Inizialmente, gli acquisti erano strettamente legati al turismo: i cinesi viaggiavano con una lista di “ordini” da soddisfare per amici e vicini, creando un fenomeno che ha portato alla nascita di una nuova categoria professionale, i Daigou (che significa letteralmente “comprare per conto di”). Questi operatori acquistavano all’estero e rivendevano in Cina continentale, approfittando di differenziali di prezzo che potevano arrivare fino al 50% a causa delle tasse e delle fluttuazioni valutarie. Le società del lusso e anche il governo cinese, che spesso non riscuoteva le tasse su questi beni inviati come regali, si sono attivati per contrastare questa dinamica. Sono state adottate politiche di prezzo più “globali” per ridurre i differenziali e si è assistito a un aumento di negozi di marca in Cina, finalizzati a controllare la distribuzione e a soddisfare la domanda interna. Di conseguenza, gli investimenti in capitale (capex) sono stati spostati dall’Europa verso la Cina, non solo per coprire le principali città di prima fascia (Tier 1), ma anche progressivamente le città di seconda (Tier 2) e terza fascia (Tier 3).
Inoltre, il governo cinese, al fine di stimolare la spesa dei consumatori durante i viaggi, ha istituito zone di duty-free, come l’isola di Hainan, che nel tempo hanno visto un incremento sia nel numero di negozi che nelle offerte di svago, tra cui ristoranti, hotel, karaoke e altre attrazioni.
Il Covid e la crisi immobiliare che sta attraversando il Paese hanno rappresentato un duro colpo per il settore del lusso. La mancanza del tradizionale “feelgood factor”, l’alto tasso di disoccupazione giovanile (fatto che ha portato la Cina a sospendere anche la pubblicazione delle statistiche ufficiali) e il crollo dei prezzi degli immobili, che per anni sono stati la principale fonte di ricchezza e di investimento per i cinesi, hanno causato un drastico calo delle vendite sia in Cina che all’estero. Questo declino è stato ulteriormente aggravato dalla ridotta capacità di voli internazionali subito dopo la fine del Covid.
Non sorprende che, a causa di tutti gli eventi recenti e anche di quelli più immediati, il settore del lusso abbia visto rallentare la propria crescita e che alcune aziende siano state costrette a intraprendere profonde ristrutturazioni.
Uno di questi esempi è sicuramente Kering, il cui valore ha raggiunto i € 800 per azione ad agosto 2021, per poi iniziare una successiva discesa fino agli attuali € 180 per azione, cancellando così nove anni di crescita sul mercato azionario.
Anche Il gruppo LVMH non rimane immune a questo periodo di forti cambiamenti e di eccessi: oggi il valore delle sue azioni si attesta a 450 euro, tornando ai livelli di ottobre 2000, dopo aver subito una correzione dai massimi di 900 euro toccati ad aprile 2023.
Non sorprende che Hermès, leader indiscusso nel settore del lusso, possa vantare oggi una performance del +195% rispetto ai livelli di ottobre 2020, con un prezzo di circa 2.232 euro per azione. La stabilità dei risultati e la coerenza della strategia adottata hanno generato risultati duraturi nel tempo, giustificando una valutazione a premio rispetto al settore. Attualmente, il titolo viene trattato a un rapporto di circa 46 volte gli utili stimati per il 2025, rispetto alla media del settore che si attesta intorno a 22 volte.
Per quanto riguarda le società italiane, va sottolineato che Brunello Cucinelli, dal suo listing nel 2012, ha registrato un’eccezionale performance del +1.200%. Questo risultato si è ottenuto nel segmento dell’extralusso, grazie a una strategia e a un posizionamento di nicchia ben definiti, che hanno contribuito a consolidare il suo successo nel mercato.
L’“hard luxury”, ovvero orologi e gioielli, è stata una delle categorie più colpite dalla stretta sulla corruzione in Cina nel 2012. Dopo anni di interventi mirati a ripulire i canali di distribuzione, soprattutto nel settore degli orologi, oggi società come Richemont beneficiano di una maggiore visibilità e tracciabilità dei loro prodotti. Inoltre, il settore della gioielleria continua a registrare tassi di crescita e di profittabilità molto elevati. Questo andamento positivo è in parte sostenuto da un trend strutturale verso prodotti di marca, che rappresentano ancora una minoranza rispetto al totale del mercato dei gioielli, ma anche dall’aumento significativo del prezzo dell’oro, che costituisce per i consumatori una forma di investimento.
Nel contesto attuale, caratterizzato da incertezza geopolitica e dallo stato di salute del consumatore, che inducono a riflettere sull’andamento della spesa nel settore del lusso, privilegiamo quelle società che mantengono un buon slancio del marchio, che dispongono di una giustificata possibilità di aumentare i prezzi (a causa della scarsità dei prodotti o dell’incremento dei costi delle materie prime utilizzate) e che si posizionano il più possibile al di fuori delle fasce di massa.
Il settore attualmente tratta a un rapporto prezzo/utili (P/E) di 22 volte gli utili previsti per i prossimi 12 mesi, escludendo Hermès, che si trova al punto medio della forchetta storica tra 20 e 25 volte negli ultimi dieci anni. Il premio rispetto al mercato si è notevolmente ridotto, considerando che tra giugno 2020 e giugno 2021 il rapporto prezzo/utili del settore era intorno a 35 volte, giustificato dalla crescita superiore dopo la pandemia di COVID-19.
Analizzando l’andamento dei prezzi delle azioni quotate in Europa, Hermes ha registrato un calo limitato del 2,5% da inizio anno, mentre Moncler e Brunello Cucinelli hanno subito ribassi di circa il 4%. Le società francesi Kering e LVMH, invece, stanno sottoperformando significativamente, con perdite rispettivamente del 24% e del 28% da inizio anno, a seguito di risultati del primo trimestre 2025 deludenti. I cambiamenti in corso nel management, sia all’interno di LVMH, con ristrutturazioni nelle varie divisioni, sia a livello di top management in Kering, potrebbero causare qualche rallentamento nel processo decisionale. Tuttavia, tali fattori sono in parte già riflessi nei multipli di valutazione: attualmente, LVMH viene scambiata a circa una volta e mezza la deviazione standard del suo multiplo storico degli ultimi cinque anni, con un rapporto prezzo/utili di 18,5 volte rispetto a un valore medio di circa 26 volte.
Per quanto riguarda infine i dazi e la debolezza del dollaro, sono due fattori che dall’inizio dell’anno stanno esercitando un’influenza negativa sul settore. Riteniamo che le società con un maggiore potere di determinazione dei prezzi (pricing power) siano in grado, in qualsiasi contesto, di trasferire eventuali costi aggiuntivi ai consumatori attraverso aumenti di prezzo, riuscendo così a preservare meglio i margini di profitto. I costi fissi, un tempo molto elevati, sono stati infatti notevolmente ridotti nel corso dei cicli economici precedenti, riducendo così l’impatto negativo dell’indebitamento operativo (operating deleverage) e consentendo, anche con una crescita del fatturato più modesta, di mantenere la redditività.
Detto ciò, nella stagione utili del secondo trimestre, gli investitori si concentreranno principalmente sulla crescita del fatturato per aree geografiche, al fine di valutare se il mercato cinese possa tornare a rappresentare un motore di crescita e di profittabilità. Inoltre, analizzeranno se il consumatore americano, nonostante il ritorno ai livelli pre-Covid del tasso di risparmio, possa essere ormai considerato “maturo”.