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Formaggio o carne: quale dei due è meno dannoso per il pianeta? Report Le Monde

Valutare l'impatto della carne e dei formaggi sull'ambiente è un esercizio delicato. Ecco perché stabilire parametri biodiversità, clima, conservazione del suolo e delle risorse idriche è una sfida tra analisi scientifiche e scelte politiche. L'articolo di Le Monde

 

Smettere di mangiare formaggio? Carne? Entrambi? Confezioni ecologiche, slogan accattivanti, polemiche sull’impronta ambientale del comté o del roquefort… È difficile per i consumatori attenti all’ambiente fare scelte alimentari consapevoli.

Valutare l’impatto della carne e dei formaggi sull’ambiente è un esercizio delicato. E il governo lo sa bene: l’etichettatura ambientale sui prodotti alimentari, prevista dalla legge sul clima e la resilienza del 2021, non è ancora generalizzata. Questo perché i prodotti di origine animale comportano numerose sfide interconnesse: biodiversità, clima, conservazione del suolo e delle risorse idriche… Tutti questi parametri, positivi o negativi per l’ambiente, sono al crocevia tra analisi scientifiche e scelte politiche – scrive Le Monde. […]

L’APPROCCIO TRADIZIONALE BASATO SULL’IMPATTO DI CO₂ E I SUOI LIMITI

Strumenti come Impact CO2, sviluppato in particolare dall’Agenzia francese per l’ambiente e il controllo dell’energia (Ademe), forniscono una prima idea degli ordini di grandezza. In equivalente CO2, la carne rossa sarebbe di gran lunga più inquinante del formaggio, a sua volta alla pari con il maiale o il pollo. […]

Ciò non toglie che il metodo di valutazione scelto divida gli scienziati, in particolare perché presenta alcuni punti ciechi: l’uso di pesticidi o fertilizzanti sintetici, i possibili benefici ambientali legati al metodo di produzione o il benessere degli animali hanno un peso minimo, se non nullo, nell’equazione.

Così, un pollo biologico allevato all’aperto in Francia può ottenere un punteggio inferiore rispetto a un pollo allevato in gabbia in modo intensivo. […]

TENERE CONTO DEI LIMITI PLANETARI O DEL METODO DI ALLEVAMENTO

Sono quindi emersi altri strumenti per costruire una valutazione più olistica dell’impatto dei nostri alimenti sull’ambiente. Il sistema Planet-score, di proprietà del Solid Grounds Institute, un fondo di dotazione indipendente a governance scientifica, offre una valutazione particolarmente panoramica. Il suo sistema di riferimento, composto da 25 indicatori, cerca di riflettere “il rispetto dei limiti planetari, di rendere conto dei valori ambientali e del carattere circolare, sostenibile e resiliente dei sistemi di produzione agricola e agroalimentare”, spiega Sabine Bonnot, direttrice scientifica.

Da questi calcoli nasce un’etichetta destinata al grande pubblico, contrassegnata da una lettera – A, B, C, D o E – che corrisponde, per livelli, al punteggio complessivo ottenuto su una scala da 0 a 100, comune a tutti i prodotti. […]

Un’analisi più approfondita permette infatti di sfumare alcune idee preconcette. Ad esempio, una bistecca di manzo può ottenere un punteggio migliore di alcune composte di mele… a condizione che sia prodotta in condizioni molto particolari (100% del tempo in prati naturali, non arati e circondati da siepi, 99% di alimentazione a base di erba e fieno, nessun pesticida o fertilizzante sintetico e nessun antibiotico).

Secondo i calcoli di Planet-score, gli allevamenti di vacche o pecore a bassa densità su prati naturali, chiamati sistemi di allevamento estensivo di ruminanti, sarebbero addirittura «gli unici in grado di essere accumulatori netti» di carbonio, il che significa che avrebbero un impatto climatico positivo.

“Il pascolo dinamico a rotazione offre inoltre possibilità di produzione alimentare relativamente elevate: si tratta di una vera e propria ottimizzazione dell’uso dell’erba e della fotosintesi”, si rallegra Bonnot. Questo tipo di allevamento è tuttavia relativamente raro: secondo le stime tratte dalle valutazioni condotte da Planet-score, rappresenterebbe tra l’1% e il 5% del consumo francese di carne bovina […]

IL POLLO, UN BUON ALLIEVO… SE ALLEVATO BENE

È più difficile ottenere un punteggio eccellente per gli allevamenti di monogastrici, come suini o polli. La produzione di cereali e soia, da cui dipende la loro alimentazione, richiede più fertilizzanti e pesticidi rispetto ai pascoli ed è soggetta all’importazione e a colture associate alla deforestazione.

I suini e il pollame sono inoltre molto più spesso allevati in stalle chiuse, in condizioni che favoriscono elevate emissioni di ammoniaca, un inquinante atmosferico derivante dagli escrementi e fonte di particolato fine. Bonnot osserva che «il 96% della produzione suina è oggi intensiva, interamente in stalle, a volte senza luce naturale, con densità elevate, code tagliate e denti limati per limitare il rischio di ferite. Esistono filiere di qualità, ma sono attualmente minoritarie e in difficoltà a causa della priorità data al prezzo e alla mancanza di informazione dei consumatori sui metodi di allevamento. […]

Per quanto riguarda il formaggio, anche in questo caso è possibile ottenere un’elevata qualità ambientale, ma è ancora più raro che per la carne. Il motivo è che l’alimentazione delle vacche, delle capre e delle pecore da latte è molto più ricca, sempre a base di mais, colza o soia, per aumentare la lattazione, in quantità molto superiori a quelle che questi animali produrrebbero per allattare un piccolo. […]

REBLOCHON FERMIER, BLEU DE GEX E FOURME D’AMBERT PROMOSSI

I formaggi più apprezzati sono quelli a denominazione di origine protetta (DOP). In particolare il reblochon fermier, il bleu de Gex, la fourme d’Ambert, il beaufort, il burro e la panna di Isigny… ma anche alcuni roquefort e comté. Questi ultimi sono generalmente etichettati con B o C, a seconda delle pratiche degli agricoltori.

“Il problema per il formaggio è la crescente tendenza dei sistemi lattiero-caseari a ridurre l’erba e il pascolo sui prati naturali”, spiega Bonnot. Ma anche l’aumento della percentuale di colture arabili nelle razioni, prodotte localmente o importate, con fertilizzazione sintetica e talvolta anche deforestazione associata. […]

Anche per i bovini allevati al pascolo, l’ingrasso con cereali, molto frequente nei mesi precedenti la macellazione, appesantisce il bilancio ambientale. Le reti di allevatori sono sempre più interessate all’ingrasso con erba, che sembra più vantaggioso sia per la qualità ambientale, sia per la resilienza economica delle aziende agricole, sia per la qualità nutrizionale della carne prodotta.

In sintesi, la carne e il formaggio nascondono realtà molto diverse dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda i vegetali, i voti bassi sono più rari: «È molto difficile che l’avena o i ceci ottengano un voto inferiore a C, tenendo conto delle “peggiori pratiche” in queste colture», osserva Bonnot. Tuttavia, alcune filiere, come la barbabietola da zucchero, la mela, la vite, il grano o la colza, possono essere particolarmente dannose, ad esempio quando comportano un uso intensivo di pesticidi.

È quindi proprio il metodo di produzione estensivo – il famoso «meno ma meglio» – associato a un aumento della quota di vegetali nel piatto, che può orientare i consumatori, caso per caso, verso scelte più virtuose per il pianeta, a condizione che le informazioni ambientali siano loro accessibili.

(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di eprcomunicazione)

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