Skip to content

iran

Cosa si dice in Germania della guerra all’Iran

La guerra in Iran, le valutazioni da Berlino tra diplomazia, timori energetici e fragilità geopolitiche. Voci dal mondo della politica, della stampa, dell'economia, degli esperti militari e degli intellettuali.

L’attacco statunitense contro gli impianti nucleari iraniani ha innescato una nuova e drammatica escalation in Medio Oriente, e in Germania l’attenzione è ora puntata sulle possibili conseguenze geopolitiche ed economiche di questa nuova fase del conflitto. Dalla diplomazia europea ai mercati energetici, fino alle valutazioni di analisti ed esperti militari, Berlino segue con apprensione lo sviluppo degli eventi, consapevole che gli effetti della crisi potrebbero presto raggiungere anche l’Europa.

I DOLORI DEL MINISTRO (DEGLI ESTERI) WADEPHUL

Dopo le esplicite (e criticate) dichiarazioni del cancelliere Friedrich Merz sul lavoro sporco che Israele sta facendo anche per conto dell’Occidente, in queste ore il tono della politica estera è dato dal titolare dell’Auswärtiges Amt. Johann Wadephul (Cdu) sta provando a tessere la rete della diplomazia assieme ai suoi colleghi europei – fino ad ora con molta fatica e poco successo. Un lavoro complicato dal fatto che Berlino, come altre capitali europee, non sembra essere al corrente delle decisioni che si prendono alla Casa Bianca. Mentre gli europei si affannano a tirare le fila di un tavolo di confronto, Trump ordina l’operazione “martello di mezzanotte”. E Wadephul ha dovuto ammettere pubblicamente di aver sottovalutato la possibilità di un intervento militare degli Stati Uniti contro l’Iran.

Intervistato nel programma “Berlin direkt” della ZDF, il ministro ha dichiarato: “Non mi dispiace affatto di essermi sbagliato su una questione del genere. Dopo tutto, non vorrei pensare che il prossimo passo sia un’azione bellica. Ma ora è così. In questa situazione devo continuare ad essere in grado di agire. E lo sono”. Solo pochi giorni prima, intervistato da “Welt TV”, Wadephul aveva escluso un intervento diretto degli Usa nel conflitto, ricordando che l’amministrazione Trump lo aveva escluso sin dall’inizio. La realtà, però, si è rapidamente capovolta.

Fonti ministeriali non fanno mistero dell’irritazione a Berlino, dove il ministro puntava a riconquistare un ruolo per la Germania e per l’Europa attraverso un tavolo di trattative con Teheran.  Ma molti analisti osservano una certa distonia tra la posizione del titolare degli Esteri e il suo cancelliere. Questione di toni, minimizzano alla Cdu. “Tuttavia, la posizione Wadephul non sembra essere in linea con quella del cancelliere Merz, sembra che non ci sia alcun coordinamento”, afferma Clemens Wergin, capo del settore esteri di Die Welt.

HANDELSBLATT: IL GRANDE SCONFITTO È IL DIRITTO INTERNAZIONALE

Che le valutazioni prevalenti sulla stampa tedesca siano critiche nei confronti degli sviluppi della guerra in Iran è testimoniato dall’editoriale dell’Handelsblatt, voce del mondo economico. Il quotidiano analizza l’impatto globale degli attacchi americani, evidenziando la perdita di credibilità dell’ordine internazionale basato sul diritto. Herfried Münkler, politologo intervistato dal giornale, sottolinea come la logica del potere abbia ormai sostituito le regole condivise: “Non conta più ciò che si può fare secondo le norme, ma ciò che si è in grado di fare”. In questo contesto, l’Europa appare impotente: “Francia, Gran Bretagna e Germania stavano cercando una via diplomatica – sottolinea l’editoriale – ma l’attacco americano ha dimostrato ancora una volta che le decisioni cruciali vengono prese altrove”.

L’Handelsblatt evidenzia inoltre un’altra grave conseguenza: la difficoltà per l’Occidente di mantenere una posizione morale contro altri violatori del diritto internazionale, come la Russia di Putin. “Anche l’Ucraina – si legge – è indirettamente una vittima di questa escalation”.

NEUE ZÜRCHER ZEITUNG: I RISCHI DI UNA VITTORIA ILLUSORIA

Anche la Neue Zürcher Zeitung mette in dubbio l’efficacia strategica dell’attacco. In un editoriale che richiama gli errori del passato, si ricorda come l’intervento in Iraq negli anni Duemila, apparentemente rapido e risolutivo, si sia poi trasformato in un lungo incubo di guerra civile e terrorismo. “Che cosa accadrà all’Iran il giorno dopo?”, si chiede il giornale svizzero, “come si potrà stabilizzare un paese che non ha chiesto l’intervento esterno?”.

Il quotidiano mette inoltre in guardia da un falso senso di vittoria: “Per distruggere davvero il programma nucleare iraniano servirebbero truppe di terra”, affermano alcuni esperti. E anche dal punto di vista economico, l’Iran conserva una leva potente: il controllo dello Stretto di Hormuz.

HORMUZ: L’OPINIONE DEGLI ESPERTI MILITARI

Tra i nodi più sensibili della crisi vi è infatti la possibilità che Teheran decida di chiudere lo Stretto di Hormuz, punto nevralgico del commercio globale di petrolio. Sulla stampa tedesca, non solo economica, è il tema dominante. Fabian Hinz, esperto militare presso l’International Institute for Strategic Studies, avverte in un’intervista alla ZDF che, pur rappresentando una minaccia reale, una tale misura avrebbe effetti devastanti anche per l’Iran stesso. “Le esportazioni petrolifere sono fondamentali per la sopravvivenza economica del regime – spiega Hinz – ed è per questo che lo Stretto rappresenta un’arma a doppio taglio”. Secondo l’esperto, la chiusura rimane comunque una possibilità concreta, evocata da Teheran da decenni come risposta a eventuali attacchi contro il proprio programma nucleare.

La decisione finale, tuttavia, spetta alla guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. “Solo lui può decidere se correre questo rischio”, aggiunge Hinz, che interpreta le dichiarazioni americane sul mancato intento di cambiare il regime come un tentativo di offrire all’Iran una via d’uscita negoziale, ma anche una forma di pressione “velata” per riportare il paese al tavolo del dialogo.

HORMUZ: L’OPINIONE DEGLI ECONOMISTI

E proprio sullo stretto si concentra nuovamente l’attenzione di una lunga disamina dell’Handelsblatt, che analizza gli effetti economici di un eventuale blocco della via marittima. Con un quinto del petrolio mondiale che transita ogni giorno attraverso Hormuz, le ripercussioni sono già tangibili: il prezzo del greggio è salito di circa il 3%, mentre cresce la preoccupazione per una crisi energetica globale.

Il quotidiano economico offre un giro di opinioni di esperti internazionali. Goldman Sachs prevede che un blocco prolungato possa spingere il petrolio oltre i 100 dollari al barile, mentre JP Morgan stima picchi fino a 120 dollari. La situazione si riflette anche su altri asset: bitcoin in calo, dollaro in rialzo, e mercati azionari sotto pressione. “Le perturbazioni sul mercato del GNL in Europa saranno evidenti”, avvertono gli analisti di ING, soprattutto considerando la crescente dipendenza europea dal gas naturale liquefatto.

Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha definito l’eventuale chiusura dello Stretto “un suicidio economico” per l’Iran, avvertendo che gli Stati Uniti hanno “mezzi per rispondere”. Ma l’editoriale conclude con un monito: “Le alternative a Hormuz sono scarse, e un’escalation ulteriore rischia di mettere a repentaglio non solo l’economia globale, ma anche la sicurezza energetica europea”.

LO SCRITTORE KERMANI: “IL REGIME SOPRAVVIVERÀ E SARÀ ANCORA PIÙ BRUTALE”

Infine una voce dal mondo intellettuale. È quella di Navid Kermani, scrittore e orientalista tedesco di origini iraniane, voce critica e molto ascoltata in Germania, il quale osserva gli sviluppi della crisi “con preoccupazione profonda, ma senza illusioni”. “L’attuale guerra rafforzerà il regime iraniano, lo renderà ancora peggiore”, afferma in un’intervista ad ARD. Per Kermani, non solo l’attacco non indebolirà l’apparato di potere di Teheran, ma rischia di rafforzarne la narrativa anti-occidentale, ostacolando i movimenti democratici interni.

Particolarmente critico verso le recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha invitato il popolo iraniano a ribellarsi al regime, Kermani osserva che queste parole rischiano di legittimare la repressione interna, offrendo al governo un facile pretesto per identificare l’opposizione con l’influenza straniera. “Il regime massacrerà la propria popolazione – teme Kermani – e presenterà qualsiasi esito del conflitto come una vittoria”. A proposito delle proteste che per lungo tempo hanno visto protagonisti i giovani e le donne in Iran, lo scrittore accusa l’Occidente di aver abbandonato la società civile iraniana, definendo “cinico” l’attuale disinteresse per una politica attiva che sostenga concretamente l’opposizione democratica.

Torna su