Imporre alle aziende tecnologiche il rispetto di determinati criteri – come quelli sulla trasparenza e la sicurezza dell’AI Act europeo – prima del lancio di prodotti di intelligenza artificiale (IA) sarebbe “disastroso” per gli Stati Uniti. Ad affermarlo in un’audizione al Senato è stato il Ceo di OpenAI, Sam Altman.
Ma oltre a lui sono in molti, soprattutto tra competitor quali Amazon, Google e Microsoft, a pensarla allo stesso modo. Tanto che i lobbisti che agiscono per conto delle Big Tech stanno conducendo una battaglia per far approvare un divieto di 10 anni per gli Stati americani di regolamentare i modelli di IA.
Sebbene la misura sia appoggiata dal presidente Usa Donald Trump, che l’ha inserita nella sua legge fiscale, nota come Big Beautiful Bill, i dubbi, soprattutto sull’etica e i pericoli apportati dalla tecnologia, non mancano nemmeno tra gli stessi repubblicani.
UNA PROPOSTA MOLTO DIVISIVA
Nascosta tra le pieghe dell’imponente disegno di legge di maxi tagli fiscali auspicato da Trump, si trova una norma che introdurrebbe una moratoria su qualsiasi regolamentazione statale dell’IA per i prossimi 10 anni.
Per i suoi sostenitori, l’obiettivo sarebbe garantire la supremazia americana in questo settore. In particolare, rispetto alla Cina. Chi, invece, si dice contrario ritiene che permetterebbe a un’industria tecnologica predatoria di calpestare gli sforzi locali per affrontare le sfide di un settore ancora in fase di sviluppo.
L’AZIONE DI LOBBYING DELLE BIG TECH
La norma, approvata come parte della versione del disegno di legge della Camera, è ora in attesa del via libera anche da parte del Senato, che vorrebbe far passare il provvedimento entro il 4 luglio.
Per convincerlo e superare quindi solo l’ultimo ostacolo, stando a fonti del Financial Times, è in corso una campagna di lobbying portata avanti da Chip Pickering, ex deputato e amministratore delegato di Incompas, il quale ha promosso la proposta a nome dei membri della sua associazione di categoria tecnologica, che include giganti come Microsoft, Amazon, Meta e Google, oltre a società più piccole nei settori dei dati, dell’energia, delle infrastrutture e studi legali.
I FAVOREVOLI AL DIVIETO DI REGOLAMENTAZIONE STATALE ALL’IA…
Chi sostiene il divieto di regolamentazione statale afferma che sia necessaria per due motivi principali: non perdere terreno rispetto alla Cina ed evitare una raffica di provvedimenti tutti diversi tra loro. Tuttavia, come ha scritto The Hill, la regolamentazione a livello federale è “in sospeso”, lasciando ai parlamenti statali il compito di valutare “quasi 700 proposte di legge sull’IA” solo lo scorso anno.
“Non vogliamo che il primo paese al mondo per innovazione resti indietro sull’IA – ha detto il senatore repubblicano Thom Tillis -. Se improvvisamente ci ritroviamo con 50 diversi quadri normativi o giuridici, com’è possibile che qualcuno in buona fede non capisca che questo sarà un ostacolo?”.
“Non mi piace fare qualcosa che comincia a limitare le capacità degli Stati – gli ha fatto eco il senatore repubblicano Steve Daines -. Ma potrebbe esserci un po’ di saggezza in tutto ciò, visto che potrebbe evitare una regolamentazione frammentata che rischierebbe di ostacolare e rallentare gli Stati Uniti”.
… E I CONTRARI
Da parte loro, i critici sostengono che la posizione delle Big Tech pensa esclusivamente a garantire il loro dominio, senza curarsi delle conseguenze economiche e sociali. Per Max Tegmark, professore al MIT e presidente del Future of Life Institute, un’organizzazione non-profit che promuove la regolamentazione dell’IA, si tratta infatti di “un colpo di mano da parte di oligarchi tecnologici che cercano di concentrare ancora più ricchezza e potere”.
Il Washington Post ha scritto che, stabilendo il governo federale come “unico regolatore per le aziende tecnologiche statunitensi in un settore in piena espansione”, il disegno di legge rappresenterebbe un “regalo” a un’industria che potrebbe “favorire usi dannosi e discriminatori della tecnologia emergente”.
Secondo Asad Ramzanali, direttore per l’IA e la politica tecnologica presso il Vanderbilt Policy Accelerator della Vanderbilt University, “l’innovazione responsabile non dovrebbe temere leggi che vietano pratiche irresponsabili”, mentre per il co-fondatore di Anthropic, Dario Amodei, “affidarsi all’autoregolamentazione potrebbe avere conseguenze disastrose per la società”.
“Dieci anni di deregolamentazione non sono una strada da percorrere”, ha dichiarato in una lettera aperta firmata da numerosi legislatori statali il ricercatore Gary Marcus. La misura sarebbe “profondamente problematica in qualsiasi circostanza – ha aggiunto -, ma è particolarmente pericolosa considerando l’impatto che l’IA sta già avendo su salute, istruzione, occupazione e altri settori”.
Infine, anche tra i repubblicani c’è chi si dice contrario, come i senatori Josh Hawley, che ha scritto un libro dal titolo The Tyranny of Big Tech, e Marsha Blackburn, che sostiene una legge del Tennessee a difesa dell’industria musicale dello Stato contro l’uso non autorizzato dell’IA.