Nonostante l’escalation del conflitto tra Israele e Iran, con attacchi missilistici reciproci, il prezzo del petrolio non sta registrando un’impennata significativa. Il Brent, dopo un iniziale aumento a 78 dollari al barile, è sceso a circa 72 dollari, con un rialzo del 4% dall’inizio delle ostilità. Gli analisti ritengono che un aumento drammatico sia improbabile, a meno di eventi estremi come la chiusura dello Stretto di Hormuz o attacchi alle infrastrutture di esportazione iraniane, come quelle di Kharg Island.
LA GUERRA ISRAELE-IRAN HA UN IMPATTO LIMITATO SUL PETROLIO
A differenza dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha sconvolto le forniture globali a causa della dipendenza europea dal gas russo, il conflitto attuale ha un impatto limitato. L’Iran, pur produttore rilevante, esporta meno di Russia, principalmente verso la Cina, e il mercato globale è meno vulnerabile grazie a una domanda in calo e alla crescente indipendenza energetica degli Stati Uniti, ora esportatori netti di petrolio grazie al fracking. In passato, eventi geopolitici come l’attacco iraniano del 2019 alle infrastrutture saudite hanno causato picchi temporanei, ma il mercato si è abituato a tensioni regionali senza escalation su larga scala.
COSA GUIDA I PREZZI DEL PETROLIO
Il punto centrale è che i prezzi del petrolio sono oggi guidati più da trend geoeconomici, come la domanda globale e la diversificazione delle fonti, che da shock geopolitici. Tuttavia, rischi estremi, come un attacco alle infrastrutture chiave o una guerra regionale più ampia, potrebbero cambiare lo scenario, spingendo i prezzi verso l’alto in modo imprevedibile.
(Financial Times, Aiden Reiter e Robert Armstrong, 16 giugno 2025, 07:57 CEST)