Doveva succedere ma sta accadendo più velocemente del previsto. I nuovi strumenti di intelligenza artificiale di Google, come AI Overview e AI Mode, stanno riducendo in modo drastico il traffico verso i siti di informazione. Tuttavia, se i contenuti scompaiono, anche il miglior motore di ricerca potrebbe rimanere senza parole.
TRAFFICO IN CALO SUI GIORNALI ONLINE
Fino a pochi mesi fa quando un utente faceva una ricerca online Google proponeva una serie siti e link su cui cliccare per approfondire. Da quando, invece, ha lanciato AI Overview è tutto diverso. Certo, i più tradizionalisti e appassionati di ricerca possono continuare a utilizzare il vecchio metodo, ignorando quella prima risposta in alto fornita da Google che, al posto dell’utente, individua le informazioni più rilevanti (secondo la sua IA) e le spiattella lì pronte all’uso.
La realtà dei numeri, però, svela che questi ultimi romantici sono pochi. Se già negli ultimi tre anni, quando AI Overview non esisteva, il traffico verso siti come HuffPost, Washington Post e Business Insider è sceso di oltre il 50%, secondo i dati di Similarweb, l’accelerazione appare inarrestabile. E stando a una ricerca pubblicata a dicembre dalla società di consulenza Bain, l’80% dei consumatori riesce a risolvere il 40% delle proprie ricerche senza andare oltre la pagina dei risultati.
Ne consegue che in molti hanno perso il lavoro. Business Insider, per esempio, ha appena tagliato il 21% del personale e, stando al Bureau of Labor Statistics, negli ultimi anni un giornalista o redattore su dieci ha perso il lavoro, in coincidenza con il calo del traffico.
Google, dal canto suo, afferma invece che la funzione AI Overview ha aumentato il traffico di ricerca – anche se probabilmente non a beneficio degli editori.
LA FINE DELL’ECONOMIA DEI LINK
L’introduzione di questi nuovi strumenti sta facendo registrare agli editori un enorme calo di visualizzazioni, clic e lettori. Il sistema, in piedi dalla metà degli anni 2000, per cui gli editori creavano contenuti ottimizzati per la ricerca, e Google, in cambio, indirizzava traffico verso i loro siti è dunque in crisi.
Ecco perché gli editori stanno cambiando approccio, cercando di costruire relazioni più dirette con i lettori tramite newsletter ed eventi ma, come osserva Quartz, “non è certo che ogni testata online possa sopravvivere trasformandosi in un’attività da conferenze o basata su newsletter, tuttavia, una cosa è chiara: un modello che ottiene contenuti senza pagarli ha un vantaggio difficile da eguagliare”.
PROBABILMENTE AUMENTERANNO I PAYWALL
Google ha questo vantaggio perché la sua IA riesce a essere addestrata grazie alle informazioni disponibili online. Ma cosa succederebbe se gli editori smettessero di rendere pubblici nuovi contenuti? Le risposte generate dall’IA hanno infatti bisogno di input freschi e di alta qualità per rispondere in modo corretto e aggiornato.
Alcuni editori, per difendersi, hanno quindi iniziato a proteggere i propri contenuti, alzare paywall o bloccare gli scraper e se il traffico proveniente da Google dovesse continuare a calare probabilmente molti altri faranno lo stesso anche perché, come scrive Quartz, “se la ricerca si evolve in qualcosa di più simile a un agente autonomo, rischia di cannibalizzare l’ecosistema che le ha dato potere”.
IL NUOVO TANDEM TRA EDITORI E BIG TECH
Un altro tentativo da parte degli editori per sopravvivere è allearsi con i detentori dell’IA. Il New York Times, il primo a dichiarare battaglia a OpenAI, di recente, ha firmato un accordo con Amazon per concedere in licenza i propri contenuti editoriali, al fine di addestrare le piattaforme di intelligenza artificiale del colosso tech.
Diversi editori, invece, tra cui The Atlantic, hanno accettato di collaborare con la software house guidata da Sam Altman, mentre Perplexity AI ha un piano diverso: condividere i ricavi pubblicitari con gli editori le cui notizie vengono mostrate dal suo chatbot in risposta alle richieste degli utenti.