Lo sconcerto per lo scontro che si consuma tra Donald Trump ed Elon Musk è comprensibile quanto le due principali conclusioni che se ne traggono. La prima è relativa alla cosiddetta “psicopolitica”, alla presenza di evidenti elementi di disturbo della personalità in entrambi i contendenti, nell’uomo più potente e nell’uomo più ricco del mondo. La seconda è la sconfessione della tesi secondo la quale il presidente USA sarebbe stato un semplice fantoccio nelle mani dei big economici e finanziari, dei quali il patron di Tesla sarebbe stato rappresentante presso la Casa Bianca. Se sì sintetizzano entrambe le considerazioni si arriva alla terza, anch’essa abbastanza condivisa, cioè la valutazione di grande debolezza delle democrazie, in primis ma non unica quella statunitense.
Sono, ripetiamo, tutte valutazioni pertinenti, sensate, dalle quali però fatichiamo a trarne una più profonda e definitiva: che la natura schizoide del potere, di qualunque potere, non è un’eccezione ma la regola. Il pensiero convergente ed equilibrato non riesce a compiere quegli scarti, apparentemente illogici, che distinguono il semplice talento, il merito, la capacità, dal genio assoluto. Le virtù anche significative ma “normali” consentono di fare moderate progressioni di carriera e di ottenere successi in misura generalmente contenuta. Il plus eccentrico invece permette a una persona seppure modesta o addirittura deficitaria – per esempio perché fa uso di sostanze psicotropiche, è affetta da un deficit intellettivo o fatica ad affermarsi nelle normali situazioni competitive come l’istruzione e il lavoro – di guadagnare più punti, salire altri gradini e porsi in cima alla scala che ha deciso di affrontare, in una posizione che i semplici talentuosi non raggiungono perché neppure vedono.
Atteso questo, che la “follia” è per un leader e per un imprenditore non è un limite ma un fattore di potenziale vantaggio, i sistemi come le democrazie, che procedono per regole e per il loro funzionamento ne prevedono il rispetto, si trovino inevitabilmente in condizione di fragilità. Abbiamo stigmatizzato lo strapotere sempre più evidente dei settori economici e finanziari, che hanno finito per competere con gli stessi stati nazionali in termini di persone controllate e di possibilità di investimento. Abbiamo lamentato che i divari tendano ad aumentare man mano che le condizioni medie migliorano, senza comprendere che si tratta di una distorsione ovvia, poiché la maggiore disponibilità diffusa consente, a chi lavora ai margini delle regole, di accumulare e crescere in modo molto più accelerato di quanto accada alla maggior parte dei cittadini o dei competitor.
Adesso sembra esserci un salto successivo, per il quale lo sviluppo impetuoso delle tecnologie permette a questi leader eccentrici di affermarsi “inventando” mercati prima inesistenti o minimali e così compensando la riduzione di quelli tradizionali. Intendiamo, banalmente, che viviamo e vivremo sempre più in un mondo di condivisione e meno di possesso, sempre più di servizi e meno di beni, sempre più digitale e meno materiale.
A far le spese del cambiamento non sono solo e tanto i singoli individui che del sistema sono pedine minuscole: basta dare loro un nuovo indirizzo con un’accorta comunicazione perché seguano percorsi fino ad allora sconosciuti, lo vediamo nell’adattamento sorprendente che manifestiamo, anche se non abbiamo l’anagrafe e le competenze adatte, verso le nuove relazioni sociali che ci vengono suggerite o imposte. Stiamo tutti cominciando a vivere la nostra vita tramite tastiere e schermi, azzerando o riducendo drasticamente i contatti fisici, salvo magari lamentarci di una sorta di sindrome di solitudine generalizzata. Basti vedere il crollo del “valore lavoro” tra le nuove generazioni per rendersene conto.
Le vittime sacrificali del cambiamento sono soprattutto le agenzie e istituzioni depositarie, nel precedente assetto, di alcuni beni ritenuti ineludibili, come le prestazioni sanitarie, la previdenza pensionistica, l’istruzione delle giovani generazioni, le agenzie nazionali o sovranazionali nei settori dell’assistenza o della ricerca. Quest’ultimo è un aspetto paradossale cui si legano vicende diverse: dallo scontro tra Harvard è il presidente Trump negli Stati Uniti alle sorti del Consiglio Nazionale delle Ricerche in Italia, dai sussidi per il cinema di casa nostra all’agenzia ONU contro le droghe. Ambienti, enti, agenzie, associazioni vissuti in virtù di un primato morale e culturale che andava sostenuto dalle pubbliche amministrazioni con fondi che originavano dalla tassazione dei redditi privati rappresentano un paradigma che probabilmente non potrà reggere al cambiamento in corso.