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Troppe feste a sinistra dopo Genova?

Più che una vittoria, quello della Schlein a Genova è un cappio. I Graffi di Damato.

Anche se alle urne sono andati più di un milione di elettori, pari per fortuna al 56 per cento degli aventi diritto al voto, sparsi in 126 Comuni di varie regioni d’Italia, dal Nord al Sud, il turno amministrativo del 25 e 26 maggio porta il nome soprattutto di Genova, la maggiore delle città interessate. E anche quella di cui si attendeva con più interesse nazionale il risultato, dopo che il sindaco di centrodestra Marco Bucci era stato eletto a governatore della regione e il Comune era tornato ad essere contendibile dalla sinistra per otto, lunghi e anomali anni di opposizione, rispetto alle tradizioni storiche e politiche della capitale ligure. E vi è tornata con l’elezione della giovane “dirigente sportiva” Silvia Salis, come la campionessa di lancio del martello ha preferito definirsi, aggiungendo “progressista” a chi le ha chiesto a quale partito si sentisse più vicina. Progressista neppure “indipendente”, come si proclama sotto la guida di Giuseppe Conte quel che resta -il 5 per cento- del Movimento 5 Stelle partecipe alla coalizione, o “campo largo” della sinistra aspirante all’alternativa nazionale al centrodestra guidato dalla premier Giorgia Meloni.

Per quanto ridotto tuttavia al 5 per cento, il movimento post-grillino, chiamiamolo così, è risultato determinante per la vittoria di una coalizione dove il Pd ha preso il 29 per cento, la lista civica della Salis l’8,3 per cento, i rossoverdi il 6,9 per cento.

A Genova per rendere fattibile o commestibile il cosiddetto campo largo della sinistra comprensivo di Conte hanno dovuto ricorrere alla soluzione “civica”, cioè locale, della Salis. Ma a livello nazionale, dove l’espediente civico non esiste in natura, che cosa dovrà e potrà fare la segretaria del pur maggiore partito della coalizione, Elly Schlein? Che su Genova ha cantato vittoria dicendo che il centrodestra vince nei sondaggi e la sinistra nelle urne. Ecco la domanda che, considerandola prematura, pur dichiarandosi al tempo stesso “pronta alle elezioni”, anche anticipate, la Schlein nella sua euforia di vincitrice non si pone. O non vuole lasciarsi porre, specie dopo l’imbarazzo, a dir poco, in cui l’ha messa qualche giorno fa il compagno di partito Luigi Zanda ricordandole in una intervista, cioè pubblicamente, che la sua “rivale” è Giorgia Meloni ma il suo “nemico” è Giuseppe Conte. Con l’ambizione neppure tanto nascosta che l’ex premier ha di tornare a Palazzo Chigi, essendosi convinto della qualifica attribuitagli dall’amico ed estimatore Marco Travaglio del “ migliore capo del governo italiano” dopo la buonanima di Camillo Benso conte, al minuscolo, di Cavour.

Il guaio, per la Schlein, è che in questo ragionamento di Zanda, con l’esperienza che lui ha maturato tra famiglia e politica, non c’è solo un elemento personale, certo. C’è anche, o ancor di più, un elemento politico, appunto. Che la segretaria del Pd può pure esorcizzare fingendo di ignorarlo, o prendendo tempo, ma resta il suo maggiore problema.

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