Da cattolico praticante non posso che attribuire all’illuminazione della Divina Provvidenza la scelta del cardinale Prevost, nell’assumere la responsabilità della Chiesa cattolica, di porsi in continuità con Papa Leone XIII, per affrontare le grandi trasformazioni tecnologiche che, come nel lontano 1891, in forme e tempi illimitatamente più impattanti, oggi incidono sulla vita dei singoli, sul tessuto sociale, sulla distribuzione della ricchezza e sugli assetti politici. D’altro canto, una persona che ha studiato e conseguito una laurea in matematica è la più sensibile e qualificata su materie che hanno nella loro essenza proprio la logica dei numeri e delle sequenze che danno vita agli algoritmi, croce e delizia dell’Intelligenza Artificiale.
La questione operaia era al centro dell’attenzione di Leone XIII, che scrisse testualmente nell’enciclica Rerum Novarum: “è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venire in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell’uomo”.
Queste condizioni si ripropongono ampliate nell’oggi e nel prossimo futuro, perché toccano anche i livelli intermedi del mondo del lavoro, rendono i posti di lavoro fluidi e, come tali, instabili, imponendo a chi li copre mutamenti ricorrenti delle mansioni, ricorrenti passaggi formativi, mentre le posizioni gestionali apicali beneficeranno della crescente concentrazione del sapere, del potere e della ricchezza. Di anticipazioni di queste tendenze ve ne sono molte; basta seguire con attenzione la sostanza e la forma della presidenza trumpiana e l’espansione dell’intelligenza artificiale che ha bisogno di molti dati per funzionare; un patrimonio che è sempre più concentrato nelle mani di alcune grandi aziende tecnologiche come Google, Amazon, Microsoft, Open AI, conferendo loro un vantaggio significativo. Del resto, finanche quel personaggio conturbante che è Elon Musk è arrivato ad affermare pubblicamente qualche anno addietro che: “l’I. A.è la minaccia più grande per l’esistenza del genere umano”.
Dinanzi a una situazione siffatta quegli studiosi che da varie parti del mondo hanno analizzato i pro e i contro della transizione tecnologica dovrebbero ritrovarsi per fornire agli operatori sociali e politici analisi e proposte su cui sensibilizzare la società civile di ogni angolo del mondo. Penso a personaggi di alto livello, quali, tanto per citarne qualcuno, Zygmunt Bauman, Chris Anderson, J.P. Fitoussi, Martin Durand, Manfred Spitzer, i 3 Nobel inventori dello SPI (Social Progress Index) Amartya Sen, Douglas North, Joseph Stigliz e tanti/e altri/e, che dovrebbero mettere a disposizione di Organizzazioni sindacali, Partiti, Associazioni del terzo settore i materiali giusti per diverse, ancorché convergenti piattaforme rivendicative a contrasto della disoccupazione di massa, della montante asocialità, della dipendenza collettiva di orwelliana memoria, i mali delle tre grandi transizioni (l’ecologica, la tecnologica, la sociodemografica) che incombono sull’umanità. Non è un percorso facile da affrontare, ma è l’unico praticabile per evitare la regressione civile, culturale, economica e politica, che sembra ogni giorno di più dilagante.
Niente di tutto ciò sta accadendo, anzi si assiste al ritorno di un rivendicazionismo frammentato, nazionalistico e corporativo, normalmente mal visto da ampi settori della popolazione. In contemporanea, si sviluppano altre iniziative, penso ai quattro referendum sul lavoro, anzi sul Jobs act, che, come giustamente messo in evidenza da un giurista del lavoro di prima grandezza, qual’è Pietro Ichino, sul sito LibertàEguale del 21 gennaio scorso, creano più danni delle norme che intendono abrogare. Per altro, quand’anche andassero a segno, non avrebbero la forza, per la limitatezza degli effetti, di animare una mobilitazione di massa. Un’operazione del genere, peraltro, non si può configurare nel momento in cui il rapporto tra i maggiori sindacati si è deteriorato in una competizione fratricida che ha indotto ciascuna sigla a costruirsi la sua linea di condotta in assoluta solitudine rispetto alle altre; e finanche sul problema dell’ampliamento dei diritti di informazione, negoziati e conquistati 40 anni addietro per via contrattuale non ci sono state capacità e volontà di un’elaborazione unitaria, con il rischio che il già debole impianto della proposta di legge d’iniziativa popolare, voluto dalla sola CISL, venga ridotto dalla maggioranza parlamentare ad un irrilevante atto di testimonianza.
Non possiamo, per altro verso, tacere sul fatto le tre grandi transizioni già citate dovrebbero essere affrontate da un confronto che coinvolga le Organizzazioni sindacali almeno dei 27 Paesi europei e la sigla che li rappresenta a Bruxelles, la CES, per sfociare poi in un movimento in grado di impegnare milioni di lavoratrici e lavoratori di tutte le età, le loro famiglie, i loro governi.
Forse una Rerum Novarum lanciata da Papa Leone XIV potrebbe portare i decisori politici e sindacali europei e mondiali a ritrovare il gusto di fare il loro mestiere.