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Perché ci piace tanto Garlasco

Il delitto di Garlasco è un paradigma formidabile per alcuni nostri curiosi vizietti. Il corsivo di Battista Falconi

Garlasco è un paradigma, perché siamo notoriamente tutti criminologi, così come virologi ed esperti di geopolitica, all’occorrenza anche vaticanisti, ma questo capita meno, diciamo ogni morte di Papa.

Coltiviamo così tante competenze da non occuparci nemmeno più della nazionale di calcio della quale un tempo eravamo tutti allenatori: oggi al massimo ci dedichiamo a qualche commento tattico, brevi dibattiti a margine del var. Se ci occupiamo di sport, preferiamo ormai commentare smorzate, dritti, rovesci e tie break (solo a dirlo, già riempie la bocca) di Sinner, Paolini e degli altri nostri meravigliosi tennisti italiani. Oddio, i due più famosi in realtà sono un austriaco e un’africana, si dice nei conciliaboli di noi esperti di questa disciplina che fino a pochi anni fa neppure degnavamo di uno sguardo.

Questa è la prima motivazione del successo nazional-popolare del caso Garlasco e di qualunque altro tema balzi in cima all’agenda setting. Ricordiamocelo sempre: non è importante come la si pensi, non conta dire una cosa fondata, le fake news non sono il problema. La questione è piazzare un argomento, una notizia o presunta tale nella top list di ciò di cui si parla. A quel punto, qualunque fesseria va bene.

Il caso di Sempio, Stasi, delle gemelle Cappa e della povera Chiara Poggi – in ordine di interesse, si sa che la vittima è sempre il protagonista meno interessante di un giallo – è però un paradigma formidabile anche per alcuni altri curiosi vizietti. Uno è che le motivazioni del delitto restano al fondo di tutta la vicenda, persino dietro alla povera Chiara, tanto non potranno mai non diciamo giustificarlo, ma nemmeno farcelo minimamente comprendere.

Qui si pone una riflessione sui “futili motivi” che così spesso rintracciamo dietro alle azioni umane, specie criminose ma non solo. La realtà è dinamica, al punto che i filosofi si chiedano se esista davvero o se consista in un continuo divenire. Ed è un errore pensare che quanto accade dipenda più di tanto da quanto lo precede, è sbagliato andare oltre un minimo nesso causa-effetto, ritenere che quando il secondo è rilevante lo sia anche il primo. Non è così. Le cose sono determinate, ma il nesso diventa impossibile da capire, tale è la complessità di concause, casualità, accidenti, situazioni, percorsi nei quali retrocedendo ci si smarrisce. Non è colpa della società, dei giovani, della scuola, dei social network, per citare alcune delle presunte cause tirate in ballo più spesso. Forse lo è di tutte, forse di nessuna. E comunque non è una colpa, si chiama realtà.

Altra questione che Garlasco esemplifica alla perfezione è lo sgomento per il cold case, per le prove ignorate e la verità giudiziaria così palese, ma 18 anni dopo! Su questo bisognerà fare i conti con calma e col tempo. La famiglia Poggi ha assunto una posizione di contrarietà alle nuove indagini “ipotesi stravaganti, sentenze ignorate, sofferenze inutili e ingiuste”, drastica ma giustificata dal legittimo desiderio di fare pace col proprio dolore. Noi abbiamo il meno legittimo sospetto che all’epoca le indagini siano state condotte frettolosamente, per chiudere la vicenda appena si è costituito un pacchetto indiziario a mandare a processo un presunto colpevole.

Magari non sarà questo il caso, ma che nella giustizia capiti è sicuro. E quando si dibatte di magistratura, così appassionatamente, bisognerebbe essere meno ideologici e giudicarla quale servizio dello Stato ai cittadini, chiedendosi semplicemente se, come funzioni e come si possa migliorarla. La magistratura esiste per servire i cittadini, non i magistrati e gli avvocati (a proposito, quello di Sempio, diciamo un po’ aggressivo per usare un eufemismo, già si candida come protagonista di futuri talk show tv). Così come la sanità esiste per i pazienti, la scuola per gli studenti, eccetera. Si chiamano servizi pubblici per questo.

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