Leone XIV ha esortato gli operatori della comunicazione a dire “no alla guerra delle parole e delle immagini”, a “non cedere alla mediocrità”, a creare “spazi di dialogo e di confronto”, al “servizio alla verità” e all’“ascolto”. Non sembra che l’appello stia raccogliendo adesioni, mentre la guerra delle armi sembra in ottima salute, considerate le defezioni e le difficoltà da cui parte il negoziato di Istanbul sull’Ucraina, la violazione del cessate il fuoco dichiarato dal Governo di Tripoli e il conflitto a Gaza: tanto infiammato che, nel question time alla Camera, Giorgia Meloni l’ha condannato come “situazione drammatica e ingiustificabile”. Anche se i propal non sono soddisfatti, perché il presidente del Consiglio ha rimarcato la colpa di Hamas di aver acceso le polveri del dramma.
Il premier time alla Camera, peraltro, si è svolto con un tone of voice parecchio bellicoso: insulti, dileggio, delegittimazione, aggressione l’hanno fatta da padrona, tra il pretestuoso e irrispettoso minuto di silenzio sul Medio Oriente richiesto da Giuseppe Conte e la carnevalata di Riccardo Magi di +Europa, travestito da fantasma contro la presunta disinformazione sui prossimi referendum. Sui quali, però, Tito Boeri ricorda su Repubblica che se la consultazione dell’8-9 giugno non cattura l’opinione pubblica è anche per i quesiti “mal posti”.
Il Papa, nell’udienza cui accennavamo, ha anche espresso solidarietà ai giornalisti in carcere e richiamato libertà di espressione e di stampa. Ma nemmeno su questo tema gli opposti schieramenti riescono a trovare una sintesi, incrociando speculari accuse di censura. Per rendersene conto, basta ascoltare i silenzi su Ursula von der Leyen, a cui è stato contestato di aver negato al New York Times suoi sms con big pharma ai tempi dei vaccini contro il Covid. Non meno divisiva la vicenda dell’esclusione del direttore del Tempo, Tommaso Cerno, di ProVita e Giornaliste Italiane dalla Commissione Libe di Bruxelles, proprio quella che si occupa di libertà civili e giustizia.
Insomma: le guerre verbali e reali proseguono, i politici si insultano, i giornalisti sono contrapposti persino quando si tratta della loro difesa. Il che è un peccato, in senso cristiano, sia perché così si provocano vittime e danni, sia perché non si riesce a costruire alcun bene comune, anche se qualcosina su cui lavorare assieme ci sarebbe. Il Senato, per dire, ha approvato la legge sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese voluta dalla Cisl, buon punto di partenza per una riflessione comune sul capitalismo globalista oggi tanto criticato e sul problema salari-ricchezza dei lavoratori, reale anche se strumentalizzato. Invece le sinistre, anche su questo, si sono spaccate: dem astenuti, sì da Iv e Azione, Avs e M5s contro. E pure sullo spread, assunto ai tempi di Berlusconi quale prova della catastrofe economica e civile, adesso che siamo sotto quota 100 potremmo prenderci un istante di occasionale soddisfazione collettiva!
La difficoltà di costruire assieme è legata alla scelta di voler sempre sfruttare l’occasione per sollevare un problema, una contrapposizione. Era proprio necessario rendere per l’ennesima volta il cinema italiano oggetto di una polemica in cui non si sa chi abbia più scheletri nell’armadio, se il ministro della Cultura che l’ha attizzata o gli attori e registi che lo accusano di tagliare i fondi ai loro film senza chiedersi minimamente perché sempre meno spettatori li vedano? È vero che lo schema – sedicente intellettuale vs politico che lamenta l’egemonia culturale – non è solo italiano, vedi il santino di Robert De Niro costruito dopo il discorso della star a Cannes contro Trump e in difesa della libertà, dell’arte e della democrazia.
Sarebbe bello, quando non si riesce ad andare d’accordo, avere almeno un filo di leggerezza. Non prendere tutto come fosse la fine di qualche mondo. Prendere esempio, per tornare a Leone XIV, dal suo scambio di battute con Sinner, breve quanto piacevole.