Siamo ad un punto di svolta della vicenda della più grande acciaieria del nostro Paese. L’incendio sviluppatosi lo scorso 7 maggio all’altoforno Afo1 ha messo fuori esercizio uno dei due impianti di produzione di ghisa dello stabilimento di Taranto; il terzo altoforno era già fermo in attesa di interventi manutentivi per il suo possibile riavvio.
Taranto, con una capacità produttiva di otto milioni di tonnellate di acciaio, una estensione di 15 milioni di metri quadrati ed oltre ottomila addetti diretti, rappresenta il più grande stabilimento siderurgico in Europa.
Oggi, rispetto alle sue potenzialità, a seguito di tutte le sue passate vicissitudini a partire dal sequestro degli impianti del 2012, la prima amministrazione straordinaria, per passare alla disastrosa gestione ArcelorMittal, la seconda entrata in amministrazione straordinaria nel marzo dello scorso anno fino ad arrivare al succitato incendio di Afo1, la produzione teorica stimata per quest’anno potrebbe (forse) arrivare a sfiorare i due milioni di tonnellate.
Un terzo del volume produttivo di 6 milioni di tonnellate di acciaio annui necessari per raggiungere il break even e la capacità di alimentare di coils gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure e tutti gli altri del gruppo, e l’intera filiera di trasformazione posta alla base di un importante pezzo del sistema manufatturiero italiano. Acciaio che viene utilizzato dal settore automotive, elettrodomestico, edilizia, cantieristica navale, solo per citarne alcuni. Un fabbisogno di acciaio da parte delle imprese italiane che non può essere soddisfatto dalla produzione nazionale e che di conseguenza costringe il nostro Paese ad essere importatore netto: nell’anno 2024 è stato consuntivato un import di oltre cinque milioni di tonnellate di coils.
L’ex Ilva è un gruppo siderurgico intorno al quale, direttamente e indirettamente, sono impegnati circa ventimila addetti ed una economia che può valere oltre un punto percentuale di Pil italiano. È questa la strategicità del più grande gruppo siderurgico italiano, erede della gloriosa storia dell’ex Italsider.
Ci chiediamo, allora, perché non nazionalizzare l’ex Ilva fino al suo rilancio e successivamente ricercare un nuovo investitore come si è scelto di fare per l’ex Alitalia?
Perché non seguire le scelte adottate in altri esempi paese europei?
Quali alternative avrebbe il governo italiano per mantenere un asset così importante per il nostro settore industriale se vogliamo continuare ad essere la seconda manifattura in Europa?
Allo stato attuale nessun soggetto industriale potrebbe (vorrebbe) farsi carico di un complesso rilancio industriale di tali dimensioni, di un importante intervento di ambientalizzazione ed una complicata gestione sociale.
Il governo ne prenda atto e proceda ad assumere l’unica decisione possibile. Questo è quello che la Uilm chiederà nel prossimo incontro sull’ex Ilva al tavolo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.