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risorse umane

Sono le risorse umane la vera forza della Ue

L'intervento di Massimo Balducci.

 

I costi crescenti dell’energia a seguito della crisi ucraina fanno perdere di vista quello che è il vero atout dell’economia UE: una solida gestione delle competenze della nostra forza lavoro.  Alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso varie ricerche misero in evidenza che il miracolo economico dell’allora Germania Occidentale,  in un momento in cui il gas russo non era ancora disponibile, non era dovuto alla disponibilità di risorse naturali né al controllo di tecnologie cruciali ma al sistema di formazione e aggiornamento della forza lavoro. In questi 50 anni questo sistema è diventato il sistema di tutto lo spazio economico europeo e ne rappresenta il reale punto di forza. Si tratta dello European Qualification Framework. Cosa  ovvia, a pensarci bene, visto che l’Europa è una area economica di trasformazione di risorse naturali provenienti dall’esterno al quale vengono venduti i manufatti realizzati con le risorse naturali acquisite da fuori. Per rafforzare la competitività della UE (che attualmente appare molto buona visto il pesante attivo della bilancia dei pagamenti e della bilancia commerciale) non bisogna dimenticare questo punto. Probabilmente si tratta di un fattore competitivo che fa aggio sulle risorse finanziarie. Qui va richiamato il fatto che una delle principali difficoltà che stiamo incontrando nel mettere a terra il PNRR è rappresentata proprio dalla carenze di risorse umane adeguate!

Per rafforzare la consapevolezza dell’importanza di questo fattore può valer la pena di richiamare di sfuggita il caso della cantieristica della Corea del Sud che negli ultimi decenni è cresciuta a grande velocità risucchiando una buona fetta del mercato mondiale. Questa crescita viene fatta risalire dagli operatori del settore al fatto che la Corea del Sud ha saputo sviluppare molto rapidamente le maestranze necessarie proprio rifacendosi  allo European Qualification Framework. Recentemente la Nuova Zelanda e l’Australia hanno abbracciato questo sistema.

Qui di seguito cercheremo di descrivere questo sistema e cercheremo di capire come si posiziona l’Italia nei suoi confronti.

Lo European Qualification Framework basa tutte le così dette politiche attive del lavoro su di una griglia di “profili professionali” definiti in termini dei “saperi” e dei “saper fare” necessari. Sopra le Alpi (sia nella parte francofona che in quella germanica) questa griglia è realizzata ed aggiornata da meccanismi che fanno perno sulle organizzazioni datoriali e sui sindacati. L’aggiornamento riguarda prevalentemente i contenuti dei singoli profili piuttosto che l’insorgere di nuovi profili. Questa griglia serve per organizzare la formazione di base e per organizzare gli aggiornamenti. La griglia serve inoltre per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. L’imprenditore che cerca un collaboratore lo va a cercare su questa griglia. Il cercatore di impiego propone la sua disponibilità su questa griglia. In questo modo  si riducono i tempi di attesa e si minimizza il mismatching. Questa griglia è a disposizione di chi la voglia usare, prima di tutto le agenzie di lavoro interinale.

Dove si colloca l’Italia rispetto allo European Qualification Framework? Innanzi tutto il dialogo tra associazioni datoriali e sindacati da noi non esiste. Le griglie esistenti sono state create per iniziativa delle singole Regioni solo perché servono a giustificare burocraticamente la richiesta delle risorse del Fondo Sociale Europeo. Le  Regioni hanno affidato la creazione di queste griglie a ditte di consulenti esterni che  hanno ignorato la mappatura dei “saperi” e dei “saper fare” necessari ai singoli profili concentrandosi sugli aspetti psicologici. Ne risulta che le griglie esistenti non sono riconosciute dal mercato del lavoro, non possono essere usate per favorire l’incontro tra domanda e offerta né possono essere usate per organizzare la formazione e l’aggiornamento. A livello di risorse finanziarie l’Italia può contare su vari flussi provenienti dallo Stato, dalla UE e dallo 0,30% della massa salariale di tutti i dipendenti del settore privato. Queste risorse ingentissime vengono dilapidate in iniziative scoordinate proprio perché non siamo partners attivi dello European Qualification Framework, venendo quindi a mancare l’elemento unificante necessario alla finalizzazione delle risorse finanziarie.

La UE sta già facendo molto per garantire la sua competitività puntando innanzi tutto sulle competenze delle proprie risorse umane piuttosto che sulle risorse finanziarie. Peccato che tutti questi sforzi non vengano percepiti dal grande pubblico e, talvolta, nemmeno dagli operatori del settore. Peccato che l’Italia resti ancora a margine di questi sforzi autoemarginandosi progressivamente dallo sviluppo di quello che sta diventando il mercato europei del lavoro.

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