Dichiaratamente orgogliosa della conclusione del “suo” G7 ospitato in Italia, Giorgia Meloni non si è sottratta a quella conferenza stampa che secondo gli avversari lei detesterebbe per temperamento, per indole, per vocazione autoritaria, diciamo così. E ciò anche ora che persino sul solito Fatto Quotidiano hanno smesso nelle vignette di rappresentarla in nero in marcia su Roma, come i fascisti più di cento anni fa, e la propongono “in bragoni rosa”, declassando la marcia in “marcetta”. Che tuttavia avrebbe allungato il percorso per spingersi sino a Bruxelles. Dove la Meloni intende ottenere una maggiore o migliore presenza dell’Italia negli assetti di vertice dell’Unione Europea, ora che il Parlamento continentale è stato rinnovato con una maggiore presenza della destra.
Uscita indenne anche dalle domande dei giornalisti, la premier si è procurata lo stesso trattamenti abrasivi, a dir poco. Nei quali si è distinta La Stampa, il giornale storicamente, geograficamente, familiarmente più vicino all’editore anche di altri quotidiani nipote del mitico e compianto Gianni Agnelli, John Elkann. Che penso ne sarà rimasto sorpreso, avendo di recente cambiato il direttore di quel giornale sostituendo l’ipercritico Massimo Giannini col meno noto o esposto Andrea Malaguti. Il quale però ha sorpassato il predecessore con un editoriale dal titolo “L’euro-Meloni e l’inutile spettacolo di Borgo Egnazia”. Inutile, ripeto, per quanto vi abbia contribuito, il primo nella storia di questo evento, un Papa.
Alla Meloni, come se ne fosse stata la responsabile, e non la vittima per l’incauto comportamento di parlamentari anche della sua parte politica caduti nelle ordinarie provocazioni parlamentari delle opposizioni, il direttore del giornale torinese ha rimproverato “un Parlamento svuotato delle sue funzioni e trasformato in ring da qualche selvaggio pagato dai contribuenti”. Come lo erano nel 1953 i senatori della sinistra che devastarono i banchi di Palazzo Madama e ferirono il presidente dell’assemblea nell’assalto ad una riforma della legge elettorale con premio di maggioranza liquidata come “truffa”. Che poi la sinistra avrebbe adottato, quando evidentemente le fece comodo.
Il direttore della Stampa ha voluto “rubare” il passaggio di un articolo della sua giornalista Flavia Perina, peraltro già direttrice del Secolo d’Italia, storica testata della destra italiana, per contestare la scelta di “un resort da vacanza” per un vertice internazionale “mentre il pianeta fa i conti con tre conflitti”. “Non dico -aveva scritto la Perina mandando Malaguti in brodo di giuggiole- che i Grandi dovessero andare a Yalta o in un convento. Ma un filo in più di gravitas avrebbe aiutato”.
Se questo è diventato il livello della polemica, la Meloni può probabilmente continuare a dormire fra i classici due guanciali, tanto è evidente l’animosità preconcetta di chi la contesta. E non ne sopporta quasi fisicamente la presenza.