Tra il massacro di Giulia Cecchettin e il massacro del Circeo di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, sopravvissuta fingendosi morta, sono passati quasi 50 anni, 48. Eppure, anche per la concomitanza della fiction di Rai1 “Circeo”, è stato un altro pugno nello stomaco simile a quello di quella mattina del primo ottobre del 1975 quando i giornali riportarono notizie e immagini dell’orrore consumatosi nella villa di proprietà della famiglia di uno dei tre assassini, peraltro sfuggito alla giustizia e morto all’estero molti anni dopo.
La tenacia e il coraggio di Donatella e di un grande avvocato, Tina Lagostena Bassi, insieme con la mobilitazione popolare, con le femministe di allora in prima fila, iniziarono il cammino per far cambiare la legge sullo stupro allora ancora reato contro la morale che diventò reato contro la persona.
In questo quasi mezzo secolo, l’Italia è radicalmente cambiata, con il mondo, le donne hanno raggiunto traguardi importanti, fino ai massimi vertici delle istituzioni, con Giorgia Meloni, prima donna premier, e prima con Elisabetta Alberti Casellati al vertice del Senato, ricoprendo così la carica di seconda carica dello Stato. Da notare che sono entrambe di centrodestra.
Nuove importanti leggi sono state approvate a tutela dei diritti delle donne. Eppure in Italia si continua a ucciderle, a usar loro violenza. E ora non da parte di “bravi” ragazzi, rivelatisi mostri, conosciuti qualche sera prima, ma da parte di altri “bravi ragazzi” (per usare il termine che con dura e amara ironia ha adoperato la sorella di Giulia) fidanzati (in questo caso c’è un presunto colpevole) poi ex presi dall’ossessione della proprietà del corpo delle donne, dalla paura di essere schiacciati dai loro successi. E quello di Giulia è solo uno dei tanti, più di cento, femminicidi commessi nel corso dell’anno.
Il fenomeno pone una profonda riflessione sull’educazione che viene impartita in famiglia innanzitutto, prima ancora che nella scuola e pone però un’altrettanto seria riflessione su come rendere le leggi ancora più efficaci.
Ma in tutto questo la sinistra, che da sempre si erge come unica paladina dei diritti delle donne, quella stessa sinistra che con le femministe del passato, con le associazioni delle donne del Pci e del Psi e le donne cattoliche come l’Unione donne italiane, ebbe grandi meriti come la battaglia per cambiare la legge sullo stupro, ora sembra puntare soprattutto l’accento su una pur giusta riflessione sulla cultura “patriarcale”.
Nella solita visione statalista, la segretaria del Pd Elly Schlein, già rifiutatasi di andare a Atreju, la manifestazione di FdI, chiede al premier Meloni di mettersi insieme per approvare “una legge per l’educazione al rispetto e all’affettività nelle scuole”. Perché secondo Schlein non si può affrontare il dramma solo ricorrendo a misure repressive.
Che anche la scuola dopo la famiglia abbia un ruolo fondamentale non c’e dubbio. Ma non si può affrontare la questione solo con proposte dal sapore un po’ astratto. Esponenti di sinistra poi attaccano il centrodestra che avrebbe addirittura responsabilità culturali.
Pierpaolo Pasolini a proposito del massacro del Circeo perpetrato da ragazzi della Roma bene, i “pariolini”, di estrema destra e oltre, di allora, scrisse in quei giorni che violenze del genere potevano essere fatte anche in borgata. Anche se certamente gli assassini del Circeo si sentivano con le spalle più coperte.
Ma al di là di questo che rimanda a mezzo secolo fa, a frange più che estremiste di una destra che non c’è più, balza ancora una volta agli occhi la non volontà della sinistra di affrontare il tema cruciale della sicurezza. Che fa da sfondo al dramma del femminicidio.
Il governo viene attaccato per le norme in proposito, certamente perfettibili, ma in cambio non si propone nulla. Così come è stato fatto da anni dalla sinistra, con l’eccezione di Marco Minniti, sul fronte del controllo dell’immigrazione.
Eppure alcune importanti città storicamente rosse il Pd le ha perse proprio sul nodo sicurezza.
Non si risolve certamente tutto con le leggi, serve una battaglia culturale. Ma la battaglia culturale non può diventare di fatto un alibi per non far niente. E la contabilità delle donne uccise scorre inesorabilmente.