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Come sindacati e imprese possono migliorare la manovra economica del governo

Consigli non richiesti a governo, sindacati e imprese sulla manovra. L’intervento di Paolo Pirani, consigliere Cnel

“Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio” sosteneva Isacco Newton. Ed in questo mondo travagliato di oggi non trascurare il dubbio potrebbe diventare addirittura una sorta di bussola in mezzo alle difficoltà. L’interrogativo inevitabile che si pone mentre assistiamo dopo l’Ucraina al conflitto in Medio Oriente è perfino scontato: siamo attrezzati per far fronte a scenari inquietanti di non breve periodo almeno sul piano economico e sociale?

In realtà a leggere i commenti di alcuni analisti finanziari potremmo ricavare l’impressione che la guerra attenui il rischio Italia che stava risorgendo. Nell’attuale situazione Europa e mercati non possono certo aggiungere alle incertezze del momento ben visibili nei comportamenti di investitori e risparmiatori (che lo sono sempre meno…) anche il problema di un Paese come l’Italia avviato, con il debito che ha, verso una peggiore considerazione dei suoi titoli di quella presente con il risultato di essere più remunerativi di quelli greci al momento, ma con il rischio di avvicinarsi alla frontiera di quelli definiti “spazzatura”. E lo spread sale…

Insomma da tali considerazioni si potrebbe dedurre che la guerra…aiuti l’Italia a rimanere a galla, sorte precaria ed equidistante fra la realtà e l’illusione.

Il fatto è che al di là delle valutazioni sull’operato e sulla manovra del governo Meloni, si ha l’impressione che navigare a vista nelle tempeste internazionali giustifichi la mancanza di una strategia che possa in qualche modo evitare che sollevato il velo delle guerre, speranza da conservare comunque, l’Italia torni ad essere un Paese ostaggio di Bruxelles e dei mercati mostrando tutte le sue fragilità.

La manovra economica in questo senso fa capire che siamo lontani da comportamenti in grado di reggere alle traversie che si hanno di fronte.

Il Governo Meloni usa il deficit ancora una volta per spruzzare un po’ di soldi a termine in una realtà economica e sociale che avrebbe bisogno di ben altro, mentre tarda una controproposta organica delle opposizioni ed i sindacati provano a mettere il dito nella piaga in un contesto nel quale volontà di reale confronto latitano colpevolmente.

La manovra pare avere soprattutto un significato politico: non perdere consenso nel 2024 in vista delle elezioni europee. Ma così facendo si chiudono gli occhi di fronte alle avversità che si dovranno affrontare, preferendo tacitare alcune esigenze del proprio elettorato.

Potrebbe rivelarsi un errore di calcolo assai grave.

E non è un problema di risorse disponibili, certamente limitate. Un esempio fra i tanti: il recente documento della Uil sui nodi della manovra ricorda che “è ancora ignota una strategia industriale che fissi gli asset da cui ripartire, mentre gli altri Paesi come Francia, Germania e Spagna hanno sviluppato piani industriali ed investono decine di miliardi per l’industria e la creazione di posti di lavoro”. Una latitanza questa del governo Meloni che potremmo pagare cara nel futuro e che di certo non viene colmata dal simbolico incentivo previsto per far rientrare alcune produzioni dall’estero.

Si potrebbe continuare con lo stato della sanità pubblica, con la sottesa strizzata d’occhi a Bruxelles sugli interventi relativi alla previdenza quasi fossero espressione della volontà di mostrare un certo, inutile, rigore, con la questione salariale ed i rinnovi dei contratti a partire da quelli del pubblico impiego. E più ancora l’equità fiscale che continua ad essere terreno di affermazioni di principio senza un seguito coerente. Si tratta a ben vedere di interventi dal fiato corto ma senza il contenuto più importante: una visione di prospettiva che non si esaurisca nella ricerca delle risorse ma esprima la ricerca di un cambiamento reale.

Le Monde, ovviamente non “amico” della situazione politica italiana, segnala che con la manovra il governo rinuncerebbe a “qualsiasi riduzione del debito”. È molto probabile che gli investitori ignorino queste “sentenze” ed il nostro rating non subisca sussulti ancora più negativi. Ma questa eventualità non può far dormire sonni tranquilli specie in un Paese che ha un debito oltre i 2800 miliardi di euro (in uno scenario internazionale nel quale il debito è ormai ben il 336% del Pil mondiale), un’inflazione che soprattutto per il carrello della spesa fatica a diminuire, una conduzione della politica monetaria delle Banche centrali che ci riguardano, Fed e Bce, che rende più oneroso il  controllo del debito.

Siamo ben oltre la necessità di proporre una politica economica e finanziaria a breve termine, quando si tratterebbe di ragionare ben più a fondo su quello che si deve e si dovrà fare.

In questa situazione le forze sociali possono essere davvero protagoniste. Le organizzazioni sindacali con un lavoro comune non solo potrebbero favorire un miglioramento sostanziale degli obiettivi della manovra ma anche contribuire a far comprendere che per superare questa traversata nel deserto servono non solo risorse ma idee… Quelle, per intenderci, che mancano nel confronto politico di oggi, ancora una volta, segnato da fin troppo facili slogan contrapposti.

Farebbero un errore però le forze imprenditoriali se si adagiassero sulle briciole fornite dal governo per andare avanti. Anche da esse sarebbe importante un colpo di reni come avvenne in fasi di svolta della storia del nostro Paese e che ora non si percepisce.

Sarebbe assai utile in definitiva rimettere in moto la capacità anche in situazioni difficili quella capacità progettuale che può rassicurar e ricreare ragioni di speranza. E non lasciare ai teatri di guerra il compito di rinviare i problemi.

Paolo Pirani

Consigliere CNEL

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