Un singolare paradosso emerge da un’inchiesta di Bloomberg: quattro aziende di Taiwan starebbero collaborando con Huawei, su suolo cinese, per fare quello che le sanzioni Usa impedirebbero, ossia aiutarla a sviluppare chip avanzati. Ecco cosa ha scoperto l’agenzia americana e cosa ne pensano al governo di Taipei.
Cosa succede a Shenzhen?
Nella metropoli cinese di Shenzhen, dove ha sede il quartier generale di Huawei, i reporter di Bloomberg hanno scoperto un cantiere dove si sta realizzando un nuovo stabilimento produttivo della compagnia più famosa del Dragone e dove stanno lavorando alacremente operai e tecnici di alcune società di Taiwan.
Bloomberg ha prontamente identificato le società, che sono una sussidiaria del gruppo specializzato in costruzioni United Integrated Services, il rivenditore di chip Topco Scientific e una sussidiaria di L&K Engineering.
Chi lavora per chi
Quelle individuate dalla testata finanziaria americana non sono le uniche aziende di Taiwan che stanno lavorando per il Paese che minaccia di invadere l’isola ribelle.
Nell’elenco c’è anche Cica-Huntek Chemical Technology Taiwan, che ha appena vinto dei contratti per costruire impianti chimici per due produttori cinesi di chip come Shenzhen Pensun Technology e Pengxinwei IC Manufacturing, la seconda delle quali è stata inserita l’anno scorso nella lista nera degli Usa.
Secondo Bloomberg, Shenzhen Pensun Technology e Pengxinwei IC Manufacturing stanno lavorando per conto di Huawei alla costruzione di nuovi stabilimenti per semiconduttori.
Un rappresentante di Topco ha confermato che una sua sussidiaria cinese ha un contratto in corso con Pengxinwei per gestire rifiuti liquidi, enfatizzando però che i progetti ambientali non sono proibiti dalle sanzioni americane.
Anche United Integrated Service non ha potuto fare altro che confermare che una sua sussidiaria si è aggiudicata un contratto per aiutare una terza società di Shenzhen attiva nella produzione di semiconduttori, SwaySure, a rinnovare i propri interni.
Anche i francesi?
Le scoperte di Bloomberg non finiscono qui: i suoi giornalisti hanno anche avvistato un camion della società francese Air Liquide mentre usciva dal campus di Pengxinwei.
A richiesta di chiarimenti, il gruppo transalpino ha risposto che “Air Liquide China opera nel pieno rispetto delle regolamentazioni in vigore, e fornisce (a Pengxinwei) solo prodotti che non sono soggetti alle Export Administration Regulations americane”.
Cosa ne pensano gli esperti
Secondo Kevin Wolf, partner di Akin Gump, società specializzata in politiche commerciali, è al momento impossibile determinare se le aziende taiwanesi identificate da Bloomberg stanno violando le sanzioni Usa, che sono state pensate per bloccare il trasferimento tecnologico a Huawei ma non per bloccare del tutte le sue operazioni commerciali.
Ma la gravità di quanto appurato da Bloomberg emerge dalle parole di Jung-Shian, docente di ingegneria elettrica presso la taiwanese National Cheng Kung University: “i chip prodotti in questi impianti con l‘aiuto delle compagnie di Taiwan potrebbero essere usati sui missili cinesi puntati su Taiwan”.
“Il governo della presidente taiwanese Tsai Ing-wen – tuona il docente – dimostra di non prendere sul serio la difesa di Taiwan se non rafforza i controlli sul supporto che le imprese locali stanno fornendo a Huawei”.
La reazione del ministro
Contattato da Bloomberg, il ministro degli Affari economici di Taiwan Wang Mei-hua ha dichiarato che indagherà sui rapporti intrattenuti dalle società del suo Paese con Huawei.
“Il ministero – ha rimarcato Wang – dirà anche a queste aziende di prestare attenzione alle misure Usa sul controllo dell’export qualora le attrezzature che stanno usando violino le regole americane”.
L’ammissione del viceministro
Conscio già l’anno scorso del problema degli intrecci tra imprese cinesi e quelle di Taiwan, il viceministro agli Affari economici di Taipei, C. C. Chen aveva dichiarato che il governo avrebbe adottato misure per impedire che la tecnologia di Taiwan finisse nelle mani sbagliate, ossia – nella fattispecie – in quelle dell’Esercito Popolare di Liberazione.
Allo stesso tempo tuttavia Chen ha dovuto ammettere la serietà della “sfida” di implementare controlli all’export verso la Cina a causa della “fusione civile-militare” dei programmi delle imprese coinvolte nell’innovazione tecnologica.