Spossatezza, nausea, tosse, naso congestionato. In due parole, sintomi influenzali. Molti dei tennisti in gara agli Us Open hanno lamentato lo stesso malessere e alcuni sono stati costretti a ritirarsi.
Tra le ipotesi si fa strada Pirola, l’ultima variante Covid che ha attirato l’attenzione degli esperti per le sue molte mutazioni. I giocatori, infatti, sebbene si trovino a stretto contatto e condividano molte strutture, non sono tenuti a sottoporsi a un test e questo rende difficile determinare la reale causa della malattia che sta circolando tra di loro.
DENTRO E FUORI DAL CAMPO UN VIRUS CORRE
“Mi sento uno zombie”, ha detto la 29enne tunisina Ons Jabeur, che l’anno scorso è arrivata in finale agli Us Open. Jabeur ha riferito di essersi curata per una settimana ma durante gli incontri ha avuto difficoltà respiratorie.
Il finlandese Emil Ruusuvuori, 24 anni, ha dato forfait prima ancora di scendere in campo a causa di una malattia non specificata e Tennys Sandgren, 32 anni, sebbene non abbia superato le qualificazioni ha scritto su Twitter di aver preso un virus agli Us Open.
L’austriaco Dominic Thiem, 30 anni, dopo essersi più volte piegato in due sulla rete e sulla sedia durante le pause dei game per dei dolori alla pancia, si è ritirato e c’è stato poi il caso dell’americano Christopher Eubanks, 27 anni, letteralmente costretto a scappare in bagno durante l’incontro con il francese Bonzi. Prima del match aveva preso dei farmaci per una sensazione di nausea.
Anche la ceca Petra Kvitová, 33 anni, ha accusato dolori allo stomaco prima di perdere contro Caroline Wozniacki e il polacco Hubert Hurkacz, 26 anni, prima di soccombere a Jack Draper, ha faticato in campo ed è stato curato dal personale medico.
Ma anche dagli spalti si sono sentiti starnuti, colpi di tosse, nasi che venivano soffiati o tiravano su e pure tra lo staff, i giornalisti e i fotografi pare che ci siano gli stessi sintomi. L’ex tennista e commentatore John McEnroe, ora rientrato al lavoro, ha riferito di essere stato positivo nei giorni scorsi.
IPOTESI PIROLA
In un contesto in cui né ai giocatori né agli spettatori viene chiesto di fornire una prova di vaccinazione, di indossare la mascherina o di sottoporsi a un test prima di partecipare e i sintomi sono simili a quelli del Covid, in particolare a quelli di questa variante – tosse, raffreddore, nausea e mal di testa – il sospetto che il virus torni a circolare è alto.
Tuttavia, in mancanza di test, non è possibile affermare con certezza che si tratti di Covid e se tutti i giocatori abbiano la stessa malattia o se i loro casi siano collegati, ma sicuramente qualcosa sta girando intorno agli Us Open.
È innegabile però che questi casi si stanno verificando in un momento in cui il numero di positivi in tutti gli Stati Uniti, e in particolare nel Nord-Est e nell’Ovest, stanno aumentando. Infatti, nonostante il tasso medio di ospedalizzazione non sia un parametro perfetto, tra giugno e luglio il numero di ricoveri è aumentato di circa il 17% e anche altri segnali, quali le analisi delle acque reflue, indicano una maggiore diffusione del virus.
COSA SAPPIAMO DI PIROLA
Il nuovo lignaggio BA.2.86, questo il nome ufficiale di Pirola, è stato individuato a metà agosto dai Cdc statunitensi e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato di averla classificata come “variante sotto monitoraggio” per il gran numero di mutazioni che porta con sé. Sono infatti ben 36.
Discende da BA.2 ma ha compiuto un salto evolutivo simile a quello che ha dato origine a Omicron.
Anche negli Stati Uniti, sebbene la variante dominante da agosto sia EG.5, nota come Eris, l’attenzione degli esperti è rivolta a Pirola a causa delle sue mutazioni. Finora infatti è stata identificata in poche decine di casi di Covid in quattro continenti, ma si sospetta che sia molto più diffusa.
Come scrive il New York Times, i dati pubblicati il 31 agosto su Twitter da scienziati cinesi mostrano che BA.2.86 è così diversa che sfugge facilmente agli anticorpi prodotti da infezioni precedenti anche più di quanto faccia EG.5.
Altri due studi, invece, svolti dall’Università di Pechino e dal Karolinska Institutet di Stoccolma ritengono che Pirola è sì capace di sfuggire alla risposta immunitaria, ma meno del previsto, e inoltre è meno contagiosa delle altre varianti in circolazione.